INTERCETTAZIONI, LA CONSULTA: DISTRUGGERE I NASTRI SOTTO CONTROLLO DEL GIUDICE

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(Public Policy) – Roma, 15 gen – E’ stata depositata la
sentenza della Corte costituzionale che impone la
distruzione delle intercettazioni casuali del presidente
Napolitano.

La sentenza è relativa al conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato, scrive la Consulta, a seguito
dell’attività di intercettazione telefonica svolta
nell’ambito di un procedimento penale pendente dinanzi alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di
Palermo, effettuata su utenza di altra persona, nel corso
della quale sono state captate conversazioni del presidente
della Repubblica.

Il conflitto venne promosso dal presidente Napolitano, con
ricorso notificato il 24 settembre 2012.

DISTRUGGERE I NASTRI
Le conclusioni erano già state rese note nell’udienza
pubblica a Palazzo della Consulta il 4 dicembre scorso, ma
era sfuggita l’indicazione che non fosse il solo Pm ad
eseguire la sentenza e che ci fosse perciò il controllo del
giudice.

Scrive la Corte: “Le intercettazioni oggetto dell’odierno
conflitto devono essere distrutte, in ogni caso, sotto il
controllo del giudice, non essendo ammissibile, né richiesto
dallo stesso ricorrente, che alla distruzione proceda
unilateralmente il pubblico ministero. Tale controllo è
garanzia di legalità con riguardo anzitutto alla effettiva
riferibilità delle conversazioni intercettate al Capo dello
Stato, e quindi, più in generale, quanto alla loro
inutilizzabilità, in forza delle norme costituzionali ed
ordinarie fin qui citate”.

A queste conclusioni la Consulta giunge dopo aver
dichiarato che “non spettava alla Procura della Repubblica
presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la
rilevanza delle intercettazioni di conversazioni telefoniche
del presidente della Repubblica, operate nell’ambito del
procedimento penale n. 11609/08”.

La sentenza aggiunge anche
che “non spettava alla stessa Procura della Repubblica di
omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione
della documentazione relativa alle intercettazioni indicate,
ai sensi dell’art. 271, comma 3, del codice di procedura
penale, senza sottoposizione della stessa al contraddittorio
tra le parti e con modalità idonee ad assicurare la
segretezza del contenuto delle conversazioni intercettate”.

L’ASSOLUTA INUTILIZZABILITÀ
“Ferma restando – recita la sentenza – la assoluta
inutilizzabilità, nel procedimento da cui trae origine il
conflitto, delle intercettazioni del presidente della
Repubblica, e, in ogni caso, l’esclusione della procedura
camerale ‘partecipata’, l’Autorità giudiziaria dovrà tenere
conto della eventuale esigenza di evitare il sacrificio di
interessi riferibili a princìpi costituzionali supremi:
tutela della vita e della libertà personale e salvaguardia
dell’integrità costituzionale delle istituzioni della
Repubblica (art. 90 Cost.). In tali estreme ipotesi, la
stessa Autorità adotterà le iniziative consentite
dall’ordinamento”.

“Nella dimensione propria e prevalente delle tutele
costituzionali – scrivono gli Ermellini – è evidente che
l’adozione delle procedure indicate vanificherebbe
totalmente e irrimediabilmente la garanzia della
riservatezza delle comunicazioni del presidente della
Repubblica”.

La inutilizzabilità delle intercettazioni, scrive ancora la
Consulta, “può connettersi anche a ragioni di ordine
sostanziale, espressive di un’esigenza di tutela
‘rafforzata’ di determinati colloqui in funzione di
salvaguardia di valori e diritti di rilievo costituzionale
che si affiancano al generale interesse alla segretezza
delle comunicazioni (quali la libertà di religione, il
diritto di difesa, la tutela della riservatezza su dati
sensibili ed altro)”.

In buona sostanza: “Il presidente della Repubblica deve
poter contare sulla riservatezza assoluta delle proprie
comunicazioni, non in rapporto ad una specifica funzione, ma
per l’efficace esercizio di tutte”. (Public Policy)

SPE