Oltre il referendum: la legge sul vino che mette d’accordo tutti

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di Elania Zito

ROMA (Public Policy) –“Riteniamo la proposta un grande riconoscimento per il settore del vino”, anche se “avrebbe potuto esserci qualche altra ulteriore riduzione in materia di burocrazia”.

È il giudizio positivo di Federvini, associazione di categoria e membro di Confindustria, che raggruppa gli imprenditori delle bevande alcoliche (esclusa la birra) degli aceti, degli sciroppi e dei succhi d’uva, sul nuovo testo unico sul vino, approvato al Senato in via definitiva il 28 novembre scorso.

Il testo unico, approvato all’unanimità sia alla Camera che al Senato, disciplina tutto, dalla produzione alla commercializzazione, dai controlli all’indicazione delle denominazioni protette, dall’etichettatura al sistema sanzionatorio dei prodotti vitivinicoli, anche aromatizzati, e degli aceti.

Tra le novità, l’introduzione della fattispecie del ravvedimento operoso con la riduzione delle sanzioni amministrative nel caso di violazione di comunicazioni formali e nel caso in cui non sia già stato intrapreso un procedimento da parte dell’organismo di controllo.

Specifiche norme, poi, sugli impianti per la viticoltura e la produzione, semplificazioni nelle comunicazioni con gli uffici territoriali dell’Ispettorato centrale e nuove regole per i prodotti vitivinicoli Dop e Igp, con il divieto di riportare il riferimento ad una zona geografica di qualsiasi entità per i vini senza denominazione o indicazioni protette, salvo il caso in cui siano inclusi in nomi veritieri propri, ragioni sociali o indirizzi di ditte.

Dall’anno scorso, l’Italia ha superato la cugina Francia con una produzione di 48,9 milioni di ettolitri – secondo i dati della Commissione europea – e conta un fatturato di circa 10 miliardi di euro solo dalla vendita di vino (confermando il primato anche nelle esportazioni) con un aumento del 2% in valore – rispetto al record storico dello scorso anno di 5,39 miliardi – e un altrettanto aumento della domanda estera di vini italiani, che già nei primi mesi del 2016 si affermava a +11% a valore e +7% a volume, sulla base dei dati Istat-Ismea.

La novità legislativa, però, è passata un po’ sotto silenzio durante la campagna referendaria. Ma, nonostante l’importanza di queste nuove norme per un patrimonio culturale ed economico italiano, quale è quello dei vini, potrebbe rivelarsi uno strumento utile questo testo a contribuire a lasciare l’Italia al primo posto del commercio internazionale di vini? È davvero necessaria una disciplina in materia?

Public Policy ha chiesto il parere di chi è direttamente interessato dalla nuova legge, ovvero produttori e viticoltori. Parola dunque a Ottavio Cagiano, direttore generale di Federvini.

D: Cagiano, cosa ne pensa Federvini di questa proposta?

R: Come Federazione pensiamo molto bene di questa proposta. La riteniamo un grande riconoscimento per il settore del vino come patrimonio culturale ed economico, che impegna i produttori e tutti gli italiani. E denota un’attenzione enorme al settore. Certamente avrebbe potuto esserci qualche altra ulteriore riduzione in materia di burocrazia e qualche allegerimento del testo, ma comunque è un compromesso, la norma serviva. Quello che adesso è importante è che, siccome la proposta dovrà ricevere numerose misure di applicazione, questo lavoro di razionalizzazione sia continuato ed ancor più portato avanti attraverso le misure di applicazione.

D: La riduzione della burocrazia potrebbe comportare un aumento dei costi per le aziende?

R: No, è troppo presto per dirlo perché, siccome mancano le misure di applicazione, queste potrebbero confermare che qualche riduzione c’è e magari da qualche altra parte imporre nuovi oneri. Bisogna fare un bilancio globale: sicuramente come Federvini sposiamo l’auspicio di un’ulteriore semplificazione, ma che ci sia un aggravamento non mi sento di affermarlo.

D: La delega alle Regioni potrebbe rallentare i tempi burocratici?

R: Se mettiamo la questione sul piano del buon senso e della logica, è chiaro che chi è più vicino al territorio è in grado di capire prima l’impatto dell’andamento climatico e dunque di valutare le esigenze degli operatori, quindi ben venga una delega operativa locale. Se, però, come abbiamo purtroppo visto, l’esperienza porta a vedere che le Regioni o rallentano o fanno dei provvedimenti, magari che dettano concorrenza tra di loro, questo diventa un problema serio. Avremmo preferito una soluzione centralizzata unica per tutta Italia, sapendo che, però, naturalmente anche questa può avere dei limiti. Vedremo alla prova dei fatti.

D: Quale potrebbe essere la posizione dell’Italia, alla luce di questa proposta, nel quadro della Politica agricola comune europea?

R: La prima cosa è guardare al settore sempre con un’ottica nazionale. D’altra parte è anche confermato che ‘bisogna esportare più vino italiano’, ‘il vino italiano è apprezzato nel mondo’: sono frasi generiche che a noi del settore richiedono maggiore operatività. Se il vino deve essere italiano, la cornice in cui si caleranno le future decisioni deve essere italiana, con il contributo delle Regioni e degli ambiti locali, perché sono fondamentali per conoscere le esigenze dei singoli territori. Ma tutto questo deve essere riportato a una economia su scala nazionale, altrimenti continuiamo a fare un’operazione di interventi locali che non sono più sufficienti.

D: Una posizione concorrenziale quindi con gli altri Paesi Ue?

R: L’Europa è fondamentale, ma prima di passare dall’Europa guardiamo sempre al disegno italiano. Se torniamo indietro non possiamo non riconoscere che il settore del vino è uno di quelli che è cresciuto di pari passo con la crescita dell’Unione europea, quindi noi del settore vinicolo siamo sicuramente testimoni del lavoro ben fatto dell’Europa. Poi bisogna essere attenti a ben fare e ben giostrare, in alcuni casi la responsabilità è anche nostra.

D: E l’Italia potrebbe diventare più competitiva nel settore, anche ulteriormente rispetto – ad esempio – alla Francia?

R: Noi abbiamo esigenza di far crescere il valore delle nostre produzioni e l’apprezzamento del nostro prodotto, soprattutto all’estero, e lo dobbiamo fare sì guardando ai cugini francesi e anche a tutte le altre enologie mondiali, ma lo dobbiamo fare soprattutto guardando ai nostri prodotti e alle nostre caratteristiche, alle nostre capacità di produrre sentimenti, attenzione, immagini, qualità e memoria dei prodotti presso il consumatore.

D: Quindi metterci in pari con la normativa europea non comporterà svantaggi sul piano del commercio internazionale per l’Italia?

R: L’Unione europea ci dà degli atti normativi e sulla base di questi fa poi gli accordi commerciali. Noi, che siamo un Paese esportatore, dovremmo essere ben contenti di questa procedura: quello che dobbiamo fare è essere noi stessi capaci di valorizzare e utilizzare bene questi strumenti. (Public Policy)

@ElaniaZ