Pmi, Viaggi (Ebc): il processo legislativo Ue è contradditorio

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VILNIUS (Public Policy) – “Think small first“, pensare in piccolo: così la Commissione europea riassume il suo impegno a favore delle piccole e medie imprese, un impegno che dovrebbe tradursi soprattutto in una legislazione più attenta alle esigenze delle imprese con meno di 250 dipendenti, che in Europa rappresentano numericamente il 99,8% del totale e il 66% del personale impiegato.

Ma le contraddizioni non mancano: “C’è secondo noi un’enorme diseguaglianza nel processo legislativo dell’Unione europea – spiega a Public Policy Riccardo Viaggi, segretario della European Builders Confederation (la confederazione europea delle Pmi del settore costruzioni) in occasione della seconda assemblea delle Pmi a Vilnius – perché la Commissione europea, istituzione che ha il potere di iniziativa legislativa ma che non è il legislatore, è l’unica delle tre istituzioni europee che si è fissata l’obbligo di effettuare quello che in gergo si chiama ‘SME test’, ovvero una valutazione dell’impatto delle direttive sulle Pmi”.

“La diseguaglianza – sottolinea Viaggi – nasce nel momento in cui la proposta passa a Parlamento e Consiglio, che sono i due organi propriamente legislativi, ma che non hanno stabilito nessuna procedura per valutare l’impatto degli emendamenti che propongono. Insomma è possibile che alla fine vengano approvate delle modifiche di cui nessuno ha valutato l’impatto”.

D. QUALI LE ALTERNATIVE?
R.
Le due istituzioni si potrebbero dotare a loro volta di una procedura simile. Ad esempio so che al Parlamento c’è l’idea di creare un’unità che si occupi di questa valutazione.

D. E PER QUANTO RIGUARDA IL CONSIGLIO?
R.
L’unica risposta che mi è stata data è la presa di coscienza di un’atipicità europea, ovvero che il Consiglio non lavora in modo unitario ma rappresenta 28 governi diversi che legittimamente la pensano in modo diverso. E se è vero che il compromesso è il sale della legislazione europea, a volte è spinto all’estremo, specie quando la decisione passa al Comitato dei rappresentanti permanenti (l’organo responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio Ue; Ndr) che non tiene conto dei dettagli e dei contenuti ma cerca semplicemente di trovare un accordo politico.

D. QUALI SONO GLI EFFETTI CONCRETI DI QUESTA DISEGUAGLIANZA?
R.
Ad esempio quello che è successo pochi mesi fa con la direttiva appalti pubblici: la Commissione aveva proposto alcune misure per favorire l’accesso delle Pmi agli appalti pubblici e in Parlamento sono stati proposti alcuni emendamenti, fortunatamente respinti, che avrebbero snaturato il senso stesso della direttiva. Consiglio e Pe hanno rischiato di far saltare l’articolo 44 sulla divisioni in lotti, cioè proprio l’articolo che doveva garantire l’accesso delle Pmi agli appalti. Oppure quanto è successo riguardo alle reti di imprese, una battaglia storica di Ebc.

D. A PROPOSITO DELLE RETI D’IMPRESA, È CITATA TRA GLI ESEMPI DI SUCCESSO, MA IN ITALIA NON TUTTO VA COME DOVREBBE
R.
Certo non è tutto rose e fiori ma è uno strumento che può fare la differenza tra il continuare a lavorare solo in subappalto alle grandi imprese oppure in modo indipendente. Il problema è che quando la piccola impresa lavora in subappalto, scadenze e prezzo sono decisi dal grande appaltatore.

D. PER QUANTO RIGUARDA INFINE L’ACCESSO AL CREDITO, QUALI SONO LE PECULIARITÀ DEL VOSTRO SETTORE?
R.
È un problema ancora più sentito della burocrazia. Ci sono paesi come la Francia dove il prestito medio rifiutato è di 25mila euro, praticamente a livello di micro-credito. Non c’è solo uno spread tra i diversi Paesi ma anche tra la aziende di diverse dimensioni, con la piccola impresa che ha accesso a un prestito con tassi di interesse superiore di 2-3 punti percentuali rispetto alla grande impresa di cui magari è fornitore.

Il problema è che per quanto riguarda il nostro settore (quello delle costruzioni; Ndr) che non ha i livelli di crescita delle start up tecnologiche, né ha bisogno di grandi finanziamenti come il manifatturiero, è inutile cercare strumenti alternativi a quelli tradizionali. A noi servono linee di credito di 50-100mila euro e prestiti dai 25 ai 100mila euro. La Commissione però ha ribadito chiaramente che nei confronti delle banche non può fare nulla. (Public Policy)

DSA