Accise: scopi anacronistici, costi permanenti?

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di Giacomo Reali

ROMA – (Public Policy – Istituto Bruno Leoni)

Destinatari:

ministro dell’Economia

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In Italia, sull’acquisto dei carburanti grava un insieme di accise istituite nel corso degli anni allo scopo di finanziare diverse emergenze che, sebbene nel frattempo superate, sono rimaste nella composizione della tassa risultando talmente anacronistiche da suscitare rassegnazione e sarcasmo tra i cittadini.

Almeno fino a che il presidente del Consiglio Matteo Renzi, non appena insediatosi, promise un netto taglio delle accise affermando che “Paghiamo ancora l’addizionale di accisa sulla benzina per la guerra d’Etiopia. Entro l’anno – 2014 – razionalizzeremo queste voci ridicole”, facendo quindi pensare che fosse davvero prossimo un cambiamento.

Aspettativa invece disattesa, anche su questo fronte il “cambiare verso” è rimasto un hashtag: lo scorso gennaio, a due anni di distanza dalla promessa, il ministro Padoan  ha infatti escluso espressamente una riduzione delle accise affermando che le accise sono “un’imposta armonizzata nell’ambito dei Paesi europei”.

Vero, ma ciò non significa che il governo sia impossibilitato a ridurle, a maggior ragione vista la situazione dell’Italia che sembra poco “armonizzata” rispetto alla media Eu. I consumatori italiani pagano il gasolio più caro di tutta Europa, ad eccezione di Svezia e Regno Unito e la benzina più cara di tutti i Paesi membri eccetto i Paesi Bassi.

Non può allora non venire il dubbio che il “ce lo dice l’Europa” venga interpretato in modo sempre più opportunistico e poco credibile sia verso Bruxelles, sia nei confronti dei contribuenti italiani: perché sul fronte dei conti pubblici il governo si permette di richiedere all’Europa maggiore flessibilità sui limiti al deficit, mentre sulla tassazione ci viene detto che siamo vincolati a conservare lo status quo?

La flessibilità richiesta all’Ue (che in realtà il governo si è già preso bypassando l’articolo 81 della Costituzione, quella italiana, rinviando al 2019 il pareggio di bilancio diventato “equilibrio di bilancio” ) graverà presto sui contribuenti, mentre fin da subito, ed anzi da molto tempo, la mancata riduzione delle accise comporta alti costi-opportunità per imprese e famiglie.

Rispetto al 2008 mentre il costo del barile è sceso del 19%, le accise sono aumentate del 46%. Le imposte sul gasolio toccavano 60,82 centesimi, il 57,4%del totale, mentre nel 2016 sono arrivate a 84,31, ossia il 67,4%del totale, + 23,5 centesimi per litro, +5,2 miliardi di euro all’anno per il fisco. Sulla benzina le accise gravano per 72,8 centesimi al litro, che aggiungendo l’Iva diventano quasi un euro su un costo medio alla pompa di 1,421€.

La differenza fra il prezzo della benzina in Italia e la media europea (1,273€) deriva proprio dall’Iva calcolata non solo sul prodotto industriale ma anche sulle accise: quando “tasse su tasse” non è un modo di dire.

Ci auguriamo quindi un ripensamento del ministro Padoan e che il governo riprenda in considerazione l’opportunità del taglio delle imposte sui carburanti: sarebbe con tutta evidenza una misura pro-crescita poiché aumenterebbe il reddito disponibile dei lavoratori e ridurrebbe i costi di diverse categorie di beni e servizi producendo benefici diffusi per l’economia a partire dai ceti medio-bassi.

In un Paese in cui la pressione fiscale sta raggiungendo livelli record la prima misura per lo sviluppo è liberare risorse: l’energia è il motore di ogni economia sviluppata, rimuoverne blocchi come le accise sarebbe un primo passo significativo per cambiare verso concretamente e con effetti già nel breve termine. (Public Policy – Istituto Bruno Leoni)

@giacreali