Twist d’Aula
“Avanti” sul debito, ma sul serio stavolta

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Il nuovo libro di Matteo Renzi si chiamerà “Avanti”, più che a ricordare il quotidiano socialista, a scimmiottare la campagna “En Marche!” di Macron. E gli spifferi dicono che, oltre ad aver posticipato l’uscita prevista entro il 23 maggio per una revisione dell’ultimo minuto, tra le proposte principali c’è un’operazione straordinaria per il taglio del debito pubblico, giunto a fine 2016 a quota a 2.217,7 miliardi di euro, il 132,8% del Pil. Questo è uno dei temi che l’ex premier vorrebbe cavalcare per riconquistare Palazzo Chigi.

Intanto, mentre alla Camera si dibatte di legge elettorale e al Senato dei dettagli della manovrina – a cui ci ha costretto l’Europa per rimetterci in riga con gli impegni sul deficit – questo enorme fardello continua a crescere ininterrottamente, al ritmo medio del 3,7% all’anno, pari a 6 miliardi di euro al mese. Tanto che oggi ogni italiano, fin dalla culla, ha poco meno di 40.000 euro di debiti ereditati dal passato, quasi 2.000 euro all’anno per ogni cittadino in età da lavoro. E che per Standard&Poors proprio il debito sia uno dei fattori di maggior pericolo per l’Italia.

Quello che più preoccupa, però, è che la situazione è destinata ad aggravarsi. Infatti, oltre ad essere il Paese che meno ha sfruttato i vantaggi dell’era dei tassi bassi, da una parte il debito continua ad autoalimentarsi, dall’altra le condizioni esogene stanno per cambiare e il clima estremamente favorevole prossimo a terminare. A ben vedere, a parte il 2009, l’Italia è ininterrottamente in avanzo primario da vent’anni. Significa che gli italiani versano allo Stato più di quanto ricevano. Poi però c’è il debito pubblico, il cui mantenimento costa assai caro (73 miliardi di media annua negli ultimi 7).

Certo, l’ottimo lavoro di Maria Cannata, sommato alla politica monetaria della Bce di Draghi, hanno limitato i danni, tanto che se nel 2012 abbiamo pagato 86 miliardi di euro di interessi, dopo il bazooka siamo scesi a 78 miliardi nel 2013, 75 nel 2014, 70 nel 2015 e “solo” 66,5 miliardi nel 2016. Che comunque è una cifra pari a circa il 4% del pil, la metà della spesa sanitaria complessiva e il 20% delle imposte dirette. Soprattutto, l’era dei tassi a zero sta per terminare e quando ciò accadrà la relativa spesa tornerà a salire.

Semplificando, lo schema è questo. Senza il debito, il bilancio dello Stato (entrate meno uscite) è in attivo, ma il costo del mantenimento dello stesso lo porta in deficit. Così che se ne crea di nuovo, di debito, praticamente dal nulla. Che a sua volta genera altri interessi e altro debito, in una spirale negativa senza fine che pesa sul futuro come un macigno.

In Europa abbiamo polemizzato a lungo sui vincoli al deficit, ottenendo circa 19 miliardi di flessibilità negli ultimi 3 anni (austerity where are you?). Soldi che non hanno però rivoluzionato il ciclo economico, sia perché non sufficienti quantitativamente, sia perché qualitativamente sono stati frazionati in troppi ambiti (immobili, lavoro, imprese, 80 euro, 500 euro), senza una strategia ben definita. Francia e Spagna, che invece hanno contrattato con Bruxelles in modo diverso, hanno un deficit superiore al 3%, ma contemporaneamente crescono più di noi, con migliori risultati anti-ciclici.

L’Italia, invece, resta fanalino di coda in Europa e, nonostante la più lunga recessione della storia della Repubblica (e “in tempo di pace” come ha detto Visco), non beneficia di nessun “effetto rimbalzo”. Tanto che le agenzie di rating dicono che i nostri conti sono migliorati solo per effetti esogeni e non per nostri meriti. Ora stiamo, le prossime elezioni saranno con un sistema proporzionale, specchio posticipato (ah, la tragedia che si ripete in farsa) di quello che, nella Prima Repubblica, tra ragioni nobili e meno nobili, è stato alla base della creazione dell’attuale, enorme, debito pubblico. Senza sfiducia costruttiva, nomina e revoca dei ministri e altre correzioni istituzionali, questo produrrà sostanziale assenza di accountability, di identificazione delle responsabilità politiche.

Vedremo se qualcosa sarà diverso e se il futuro smentirà le previsioni. Ma intanto oggi ci sono nel mondo la stessa quantità di derivati che c’erano nel 2007, prima dello scoppio della grande crisi. Solo che il nostro debito è aumentato gli anticorpi (o le munizioni della Bce) si sono ridotti. In passato, di taglia-debito hanno parlato molti autorevoli voci (da Class Editori alla Fondazione Astrid, da Giuliano Amato a Vittorio Grilli, da Mediobanca Securities a Deutsche Bank) con qualche contrario (per tutti, Bini Smaghi).

Ora, sembra che anche Renzi voglia cavalcare la tigre. Chissà se è solo una promessa da campagna elettorale o sarà un debito che verrà ripagato. (Public Policy)

@GingerRosh