Twist d’Aula

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Poteva essere migliore, certo, ma il Jobs act degli autonomi rappresenta la prima formalizzazione legislativa dopo tanto tempo delle regole sul lavoro non dipendente: diritto alla maternità, divieto di pagamenti oltre i 60 giorni, possibilità di sospendere i lavori in caso di infortunio o malattia, sicurezza sul lavoro sono solo alcuni degli interventi. Eppure c’è qualcuno che non è d’accordo, qualcuno che non ti aspetti.

Per queste regole tanto attese, caso più unico che raro, a Palazzo Madama c’è stata la convergenza tra centristi volitivi guidati dal relatore Sacconi (e presidente della competente commissione), il Pd incredibilmente unito, il silenzio-assenso dei 5 stelle e il placet di Forza Italia. Incredibilmente, nell’incandescente clima pre-referendum, quando il disaccordo era imperativo e categorico su ogni cosa, il testo passava al Senato con 173 sì, 53 astensioni e nessun contrario.

Poi le urne, il nuovo Governo, le vacanze, le solite lunghe ferie parlamentari e finalmente arrivava il turno della Camera, dove la presidenza della competente commissione ha un orientamento diverso, disciamo, da quello del Senato. Ma Cesare Damiano, pur non essendo esattamente il referente politico del “mondo delle partite iva” dice a tutti quelli con cui si confronta (e sono molti) di voler chiudere entro febbraio, ma anche di voler introdurre un compenso minimo anche per i co.co.co. L’ostruzionismo, invece, arriva proprio dal mondo imprenditoriale, da quella che si autodefinisce “la parte attiva del Paese”.

Confindustria, infatti, chiede di stralciare tutte le norme che riguardano i professionisti. Il sindacato delle aziende, durante una sorprendente audizione a Montecitorio, si dichiara preoccupata che anche i professionisti possano partecipare ai bandi: “concorrenza sleale”, dicono gli imprenditori. Ma, a parte che se le aziende devono essere iscritte al registro delle imprese, i professionisti devono aderire ai rispettivi albi.

A parte che nel resto d’Europa strutturate società di professionisti già forniscono servizi professionali complessi e integrati (e, infatti, l’export di servizi di Francia e Germania è doppio rispetto al nostro). A parte tutto questo, perché Confindustria non ha chiesto di emendare il solo articolo 11 (professionisti che partecipano ai bandi) invece di uno “stralcio di tutte le norme che riguardano le professioni ordinistiche”?

Forse, dopo l’uscita di Marchionne e della (ex Fiat) FCA, dopo gli stracci volati durante l’ultima battaglia per la presidenza o dopo la delusione post referendaria c’è una poco organizzata volontà di riscatto. Ma ad essere maliziosi si potrebbe pensare che le aziende, più che dei professionisti che partecipano ai bandi, sono preoccupate di dover rispettare regole contrattuali chiare e certe con gli autonomi. Dice il direttore dell’Area lavoro e welfare di viale dell’Astronomia, Pierangelo Albini, che rendere inefficaci le clausole che permettono la modifica unilaterale dei contratti da parte del committente “rischia di creare un ingiustificato squilibrio”.

È agli atti della Camera e sulle pagine del Sole 24 ore l’opinione di Confindustria, la stessa che critica da anni la pubblica amministrazione, sia dal lato fisco sia dal lato burocrazia, per atteggiamenti vessatori e autoritari e per la politica immobile che cerca sempre di rinviare ogni norma per le imprese. Nel far west vige la legge del più forte, ma fortunatamente nel mondo degli autonomi potrebbe non essere più così.

La scadenza per la presentazione degli emendamenti è stata fissata al 9 febbraio. Dopo l’audizione di Confindustria la preoccupazione è esplosa e molti radar si sono accesi affinché non vada in fumo il primo piccolo grande passo in un mondo da troppo tempo ignorato dal legislatore. (Public Policy)

@GingerRosh