Twist d’Aula
L’assalto alle diligenze

0

di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Fatta la legge, trovato l’inganno. O, al massimo, si trova una seconda legge che inganni la prima. Ed è quanto accade con il decreto fiscale collegato alla legge di Bilancio, un provvedimento parallelo dove inserire gli emendamenti ordinamentali, le sanatorie fiscali, le norme di delega e tutti quegli interventi che, almeno formalmente, sono vietati nella manovra economica annuale.

Questa ‘finanziaria’ cade a campagna elettorale iniziata. E per quanto fosse nata come “minimale” nelle dichiarazioni di intenti di Governo e maggioranza, si è trasformata nel solito calderone in cui finisce di tutto, crescendo da 20 a 26 miliardi nel solo trasferimento da Chigi a Madama. E se questa non è una notizia, lo è invece l’accoppiamento, anche temporale, con il collegato decreto fiscale, che permette di fare entrare da una parte ciò che non entra nell’altra.

Ora, anche se non è mai diventata realtà, sono quindici anni che c’è l’ambizione di rendere quella che (fu) la legge finanziaria un po’ meno disordinata, clientelare e spendacciona. E se qualche passo in avanti per evitare il perpetuarsi di manovre in deficit, erogazioni a destra e finanziamenti a manca, era stato annunciato ufficialmente, altrettanto ufficialmente il decreto fiscale ne sancisce il fallimento. Fin dal 1999, infatti, complici anche i vincoli europei, si è provato a inserire limiti giuridici alla libertà di spesa a quella che ora è la legge di Bilancio.

Nel 2011 è stato anche introdotto il vincolo costituzionale del pareggio di bilancio, a cui una legge rinforzata nel 2012 (la 243) ha provato a dare attuazione pratica. Ma, evidentemente, con scarso successo. Infatti, nonostante l’articolo 15 vieti norme di delega, di carattere ordinamentale o organizzatorio, come anche interventi di natura localistica o microsettoriale, la realtà è sempre stata diversa. Tra l’altro, con un dormiente pericolo di conflitto davanti alla Consulta per le norme eventualmente in contrasto con questa prescrizione, perché eventuali violazioni potrebbero accendere ricorsi costituzionali in via diretta da parte delle Regioni, visto che trattasi di norma interposta.

Ora, fortunatamente questo non è mai successo, mentre il filtro di ammissibilità agli emendamenti alla legge di Bilancio è sempre stato interpretato soggettivamente, come è fisiologico che sia, anche se al Senato in modo assai più lasco che alla Camera. Insomma, nonostante i consueti annunci e le nuove regole, la pioggia di soldi non ha mai smesso di cadere sui territori in tempo di sessione di Bilancio.

Se con le ultime riforme, compresa quella dello scorso anno, si era aperto uno spiraglio per frenare la consuetudine dei finanziamenti ad hoc, delle erogazioni clientelari, come anche delle manovre elettorali ed elettoralistiche, l’accoppiamento con il decreto fiscale segna un pesante passo indietro. Al massimo, si è passati da assaltare una diligenza ad assaltarne due.

In Italia non è una notizia che le leggi nascano sull’onda delle emozioni, su emergenze che non esistono, su speculazioni di filosofia del diritto, sull’ambizione che le regole possano frenare o ingabbiare la realtà. E non è una notizia che poi non vengano rispettate. Con buona pace dei formalismi giuridici kelseniani, la vita trova sempre una strada, una feritoia, un passaggio. Se volete, un inganno per ogni legge.

In Parlamento è un Bilancio che si ripete tutti gli anni. (Public Policy)

@GingerRosh