UE, PERCHÈ LE POLITICHE DI IMMIGRAZIONE PARLANO 27 LINGUE DIVERSE /FOCUS

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UE, PERCHÈ LE POLITICHE DI IMMIGRAZIONE PARLANO 27 LINGUE DIVERSE /FOCUS

(Public Policy) – Bruxelles, 28 giu – (di Daniela Sala)
“Immagini un cittadino di un Paese non europeo che lavora
regolarmente per una multinazionale tedesca: se la compagnia
decide di trasferirlo in Italia questa persona è obbligata a
tornare al proprio Paese di origine a chiedere un nuovo
visto”. Così Cecilia Wikström, eurodeputata liberale (gruppo
Alde) in commissione Libertà civili, giustizia e affari
interni, riassume le politiche europee per la libertà di
movimento dei migranti. “In un mondo globalizzato – aggiunge
– e con l’obiettivo della creazione di un mercato del lavoro
unico, è semplicemente un’assurdità”.

La libertà di movimento tra i Paesi europei, di cui
usufruiscono poco persino gli stessi cittadini degli Stati
membri, per gli stranieri (anche se regolarmente residenti)
non è affatto scontata. Da poco l’Europarlamento ha dato il
via ad un nuovo sistema di asilo, stabilendo procedure
comuni per lo smistamento delle domande e per garantire ai
rifugiati i loro diritti. Ma per quanto riguarda in generale
le politiche di immigrazione gli Stati membri faticano a
trovare un terreno comune.

Così, dopo dieci anni dall’entrata in vigore del Trattato
di Amsterdam, “l’immigrazione legale resta la Cenerentola
delle politiche di immigrazione europee”, come si legge nel
rapporto “Mobilità intra-europea dei cittadini di Paesi
terzi. Stato attuale e prospettive” di Yves Pascouau per lo
European policy centre, think tank con sede a Bruxelles.

“Se da una parte – si legge nel rapporto – gli Stati membri
si sono accordati per quanto riguarda le riunificazioni
familiari e lo status dei residenti da lungo termine (ovvero
residenti stabilmente nell’Ue da almeno 5 anni e a
determinate condizioni; Ndr) per quanto riguarda
l’ammissione di nuovi migranti hanno preferito seguire un
approccio selettivo e settoriale”.

Ad esempio ci sono alcuni accordi comuni che facilitano la
mobilità di studenti e lavoratori altamente qualificati, ma
per tutti gli altri migranti regolari l’unico modo per
spostarsi in un altro Stato membro è ricominciare da capo le
procedure di immigrazione.

Nel 2011 i residenti
extra-Ue rappresentavano solo il 10% della forza lavoro non
autoctona nei Paesi europei. Con la crisi inoltre questi
limiti hanno di fatto impedito la ricollocazione della forza
lavoro, peggiorando in alcuni Paesi gli effetti della crisi
stessa. Una delle restrizioni principali riguarda la
clausola del ‘labour test market‘, per cui uno Stato membro
può rifiutare l’ingresso anche a un migrante residente da
lungo termine in un altro Stato europeo, se lo stesso posto
di lavoro può essere occupato da un cittadino comunitario.

Gli Stati comunque perseguono politiche in alcuni casi
opposte: la Germania ad esempio ha rimosso questa clausola
per gli studenti stranieri che abbiano studiato nelle
università tedesche e che dimostrino di voler ottenere un
lavoro nel proprio campo di studi. La Francia al contrario
incoraggia gli studenti stranieri a tornare nel Paese di
origine appena laureati.

“Un’ulteriore assurdità – commenta ancora la svedese
Wikström – che succede regolarmente anche nel mio Paese, è
quella di spendere soldi per educare ragazzi, in diversi
casi eccellenze, per poi lasciare che emigrino in India,
Stati Uniti o Cina“. E a questo proposito Wikström sta
seguendo per la Commissione parlamentare la proposta di
legge presentata il marzo scorso dalla Commissione europea
sulle condizioni di entrata e di permanenza di ricercatori,
studenti e volontari provenienti da Paesi extra-Ue.

Tra le varie proposte della direttiva, che verrà
probabilmente discussa dall’Europarlamento il prossimo
gennaio, c’è il prolungamento del visto di dottorandi e
ricercatori fino a 12 mesi della conclusioni degli studi.
“Difficile dire se gli Stati membri siano pronti a cooperare
su questo – dice l’eurodeputata liberale – sappiamo che la
presidenza irlandese ha iniziato a discuterne con il
Consiglio ma non sappiamo a che punto sia la trattativa”.

E poi c’è il problema dei lavoratori non specializzati, la
maggioranza dei migranti provenienti da Paesi terzi: anche
su questo la Commissione ha presentato alcuni mesi fa una
proposta di legge per centralizzare il registro di entrate e
uscite dall’Ue, che faciliterebbe le distinzioni tra i
richiedenti il visto, facilitando l’entrata ai residenti di
Paesi terzi che viaggiano regolarmente in Europa. Ma anche
su questo si attende il parere del Consiglio e la
discussione in Parlamento. (Public Policy)

DSA