Chi non muore si rivede: si torna a parlare di adozioni

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ROMA (Public Policy) – Pensare all’adozione “mite”, rivedere i requisiti soggettivi per l’accesso all’istituto (per esempio non escludendo le coppie omosessuali o i single) e impegno per superare alcune criticità in merito alle adozioni internazionali.

Sono solo alcune delle proposte della commissione Giustizia alla Camera contenute nella proposta di documento conclusivo sullo stato di attuazione della normativa su adozioni e affido.

Vediamo nel dettaglio le proposte:

DA DOVE SI PARTE Il documento evidenzia come la legge 184 del 1983, soprattutto alla luce “delle modifiche introdotte dalla legge n. 149 del 2001, è unanimemente considerata una ‘buona legge’, la quale, tuttavia deve inevitabilmente tener conto della dinamica evolutiva delle relazioni familiari, che hanno assunto, soprattutto negli ultimi anni, caratteri di incisività e rapidità senza precedenti”.

Il punto cardine è “il superiore interesse del minore” che non potrà che essere assunto come “punto di riferimento” dal legislatore. Gli interventi normativi, quindi, “dovrebbero perseguire prioritariamente l’obiettivo di dare concreta attuazione” all’art. 1 della legge sulle adozioni che prevede il diritto dello stesso a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia.

Con questa base, e con al centro sempre il diritto del minore, “un’eventuale revisione dell’istituto dell’adozione dovrebbe muovere dal presupposto che il legislatore non sia chiamato a tutelare un preteso diritto alla filiazione, quanto piuttosto il diritto del minore ad una famiglia ovvero a crescere ed essere educato in un ambiente affettivamente idoneo allo sviluppo della sua personalità”.

AFFIDAMENTI ‘SINE DIE’ E ADOZIONE ‘MITE’ La relazione evidenzia “il diffondersi della prassi relativa gli affidamenti ‘sine die’, ben oltre cioè il termine dei due anni previsti dalla legge”. Questa prassi “non risponde, però, all’interesse del minore, che, pur non ricorrendo gli estremi dell’abbandono, continua, tuttavia, ad essere privo di un ambiente familiare stabilmente idoneo.

In tali casi, il minore non può essere dichiarato in stato di adottabilità, ma, d’altra parte, non risponde al suo prevalente interesse realizzare una proroga a tempo indefinito del rapporto di affidamento, che è fisiologicamente destinato a sopperire ad una situazione di temporanea difficoltà della famiglia di origine e quindi essenzialmente connotato da un carattere di precarietà.

Trattasi di una questione che eventuali interventi di revisione della normativa in tema di adozione non potranno ignorare, attraverso l’individuazione di soluzioni, maggiormente rispondenti al superiore interesse del minore, che consentano di costituire un vincolo di definitiva appartenenza al nucleo familiare degli affidatari”.

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