Twist d’Aula – Apocalittici e integrati. Le ragioni dei sovranisti non sono solo economiche

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Voto di periferia. In principio fu Londra, dove al referendum su Brexit la percentuale pro-remain fu del 60%, con picchi che sfiorarono l’80%, mentre il resto dell’Inghilterra votò prevalentemente per il leave. La divisione “politica” tra grandi agglomerati urbani e provincia fu poi speculare per l’elezione di Trump. E adesso alle Europee, in Italia come in Francia, Ungheria e in modo minore Germania e Austria, il fenomeno tende a ripresentarsi.

Un trend globale, quindi, che nel nostro Paese si aggiunge al tradizionale dualismo tra Nord e Sud e che non può essere ridotto a dicotomia ricchi- colti-intelligenti contro poveri-ignoranti-subalterni, né a contabili ragioni economiche. Tanto è vero che la Lega ha raccolto più consensi di tutti tra le classi agiate o comunque benestanti, con percentuali bulgari nel ricco entroterra del Nord. Insomma, alla base del sostegno della provincia a certi sovranismi sembrerebbero esserci ragioni che travalicano la distanza fisica, la densità abitativa o il livello di reddito.

Oltre alla “struttura” economica (e Marx ci perdonerà ancora una volta) forse dobbiamo considerare quella “sovrastruttura” che né è inizialmente figlia, ma successivamente si appropria di vita autonoma e indipendente. E che è segno dello spirito dei tempi. La nuova geografia del lavoro (Moretti docet) ha contribuito a creare delle città vincenti e delle città perdenti. Londra, Parigi, Budapest, Berlino (che sempre in Germania Est si trova), ma anche Milano, Torino, Genova e perfino Roma sono centri urbani che guardano all’estero, integrati nei flussi economici globali, sempre più dinamici e innovativi.

Ma poi ci sono città e regioni che restano comunque ai margini, come Napoli, Palermo e Bari – che pure ne avrebbero tutte le possibilità – dove hanno prevalso i 5 stelle e la Lega ha ottenuto buoni risultati. Segno che ci sono territori che possono anche essere mediamente ricchi, ma hanno timore del futuro, dello straniero, della tecnologia, di ciò che è diverso e non conoscono. Paura di perdere ciò che si ha. E votano contro il globalismo e a favore invece della conservazione “nazionale”.

Chi per decenni ha costruito famiglia e avvenire producendo mobili che adesso Ikea vende a un decimo del prezzo non può non avere timore del futuro. E se per andare da Roma a Milano in treno ci vogliono tre ore e due in aereo da Roma a Londra, altrettanto ci vuole per andare dalla Capitale a Pisa o ad Ancona. Con i mezzi pubblici servono tempi simili per raggiungere il centro da quartieri come Ostia e Torre Maura (dove ha vinto la Lega). Per cui è ovvio che, al di là del reddito materiale, è la decadenza delle aspettative e l’impressione (fondata) di sentirsi esclusi dal futuro internazionale, veloce e integrato, a condizionare la scelta politica della maggioranza delle persone.

La paura di perdere il lavoro, di diventare troppo vecchi per lavorare prima di poter andare in pensione, di essere circondati da una tecnologia che non si capisce e che viaggia troppo veloce, da competenze lavorative eccessivamente complesse e soggette a cambiamenti troppo repentini. Una dinamica che trasferisce le evoluzioni economiche sulla struttura socio- culturale, ma che diventa poi una caratteristica antropologica e quindi una netta scelta politica. La differenza tra gli apocalittici e gli integrati.

Per cui si può affermare che le proposte di Salvini siano utopiche, retrograde e antistoriche e che se la prenda strumentalmente con gli immigrati e i diversi. Ma nella sua prima dichiarazione a urne chiuse ha parlato di “restituire dignità a tutti i disoccupati” mentre Zingaretti di rilanciare la “cassa integrazione”. Ecco, per il rider di Tor Bella Monaca dal presente precario e dal futuro incerto, quello che qualcuno chiama “subalterno”, secondo voi, qual è la soluzione che offre un minimo di prospettiva? (Public Policy)

@m_pitta