di David Allegranti
ROMA (Public Policy) –
Professor Arturo Parisi, il Mattarella bis è un’occasione per i partiti di redimersi o la certificazione che la classe dirigente, segnatamente i leader politici, ha fallito perché non in grado di trovare un altro presidente della Repubblica?
“Per dire della scelta finale per il congelamento della situazione, con tutto il rispetto alla persona, appare a tutti ‘un usato sicuro’, una parola basta, una parola sola: resa. Resa dei cosiddetti leader degli aggregati partitici all’incombente voto segreto dei veri elettori. Resa dei parlamentari alla preoccupazione per la loro sorte immediata. Resa della gran parte del Paese alla condizione presente. Assorbiti da mesi da congetture che avevano immaginato questo come un passaggio storico con l’evocazione di un semi-presidenzialismo di fatto che annunciasse un nuovo futuro, siamo finiti in una elezione segnata dal tatticismo come mai prima in passato”.
A proposito di preoccupazioni parlamentari e di resa: come in un eterno giorno della marmotta, si torna a parlare di legge elettorale. C’è davvero voglia di proporzionale?
“Perché voglia? Il ritorno al proporzionale è un evento che ormai appartiene al passato. Dopo l’eliminazione dei collegi uninominali maggioritari, grazie prima al cosiddetto Porcellum, e poi con la legge Rosato, sono 16 anni che a guidare i processi politici c’è l’ossessione per la percentuale di voti sulla scheda raccolta in competizione tra loro dai diversi marchi che continuiamo a chiamare partiti. Non attorno alla proposta di coalizioni che si candidano credibilmente per il governo unite avanti agli elettori da un leader e da un programma che riguarda il futuro del Paese. Il compimento ulteriore del proporzionale è solo un fatto tecnico. Chi si sorprende più nel vedere tra i promotori di questa linea perfino un partito nato maggioritario come il Pd, e poi finito al seguito di Bettini e Zingaretti per essere quindi ereditato da Letta? O c’è una radicale inversione di marcia o il tentativo di un’ulteriore perfezionamento del proporzionale è inevitabile”.
È stato l’effetto Draghi a disarticolare le coalizioni o si sono disarticolate da sole? Prendiamo il centrodestra, soprattutto. La settimana del Quirinale ha certificato la fragilità di Matteo Salvini, che vuole giocare troppe parti in commedia. Uomo di governo ma all’inseguimento dell’alleata di coalizione Giorgia Meloni, che però è all’opposizione.
“Povero Draghi! Draghi è l’approdo di una crisi che viene da lontano. Non certo la causa. All’infuori che a livello regionale e locale, ‘coalizione’ è poco più che una parola nella quale si riflette sempre meno l’antica contrapposizione tra sinistra e destra.
È dal varo del Conte 1 che la coalizione è diventata un mero apparentamento per il tempo di una elezione, senza un riconosciuto profilo politico. La verità è che dei cosiddetti tre poli è sopravvissuto in una qualche misura solo la sinistra. Come attitudine che nella componente principale del gruppo dirigente del Pd affonda le sue radici fino al tempo dei ‘fronti popolari’. Nei 5 stelle non si riesce neppure a intravvedere un possibile partito-coalizionale. Il centrodestra, infine, non è che una somma che non riesce più ormai da tempo a scegliere il candidato che rappresenti la sua unità nelle competizioni maggioritarie. Basta guardare alle ultime comunali e in genere alle suppletive per i residui collegi uninominali per la Camera”.
Il duello Conte-Di Maio può portare alla frantumazione definitiva del M5s dando un vantaggio all’alleato Pd, che ha sofferto molto in questi anni la subalternità culturale al populismo?
“Di certo può rappresentare l’occasione per distinguere ulteriormente tra i 5 stelle chi ha scelto la strada del governo lasciando alle sue spalle le pulsioni agitatorie, da chi si è trovato a farsi carico della originaria identità antisistema. Anche se può apparire per più versi paradossale non è un caso che in prima fila a soccorso di Conte siano scesi Di Battista e Grillo. Ma, ripeto, solo il ritorno ad una competizione maggioritaria per il governo, e non invece il cedimento ad una mera gara elettoralistica per la rappresentanza, che questa distinzione può recuperare un qualche senso. Altrimenti quello che può essere un confronto con dignità politica è destinato a decadere velocemente a rissa personale”.
Dopo questa settimana di battaglia sul Quirinale, è la politica che ha vinto sull’antipolitica o è solo una suggestione di qualche inguaribile ottimista?
“Se per politica, come da troppo tempo si intende, è nient’altro che quello che fanno i politici; e per politici quelli che di politica vivono e, ahimè per loro, sono costretti a continuare a farlo, di certo la politica ha perso. Malamente. Ma io confido che nella società oltre agli antipolitici resistano e crescano molti che di fronte all’impotenza che è andata ora in scena, non sono disposti ad arrendersi al presente e si interrogano come riconquistare tutti assieme all’Italia un futuro”. (Public Policy)
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)