Contro la demagogia serve (anche) la responsabilità dell’opposizione

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – Giorgia Meloni è diventata presidente del Consiglio poche settimane prima che la sua creatura politica, Fratelli d’Italia, compisse dieci anni. Il partito fu infatti fondato nel dicembre del 2012, per raccogliere le truppe ex aennine disperse nel Pdl dopo il “tradimento” di Gianfranco Fini e per ricreare un contenitore di destra autonomo dal potere e dal volere di Silvio Berlusconi, ma, a differenza di Futuro e libertà, organicamente legato alla coalizione forza-leghista.

Alle elezioni del 2013 Fratelli d’Italia ottenne l’1,96% dei voti e entrò in Parlamento grazie a una norma della legge elettorale (il cosiddetto Porcellum) che permetteva a ciascuna coalizione di recuperare e ammettere al riparto dei seggi la prima forza politica coalizzata, che non avesse superato lo sbarramento del 2%. Dopo cinque anni, nel 2018, Fratelli d’Italia raddoppiò i consensi, raggiungendo il 4,3%. Nel 2022, la sua percentuale elettorale si è sestuplicata, arrivando al 26%.

Fratelli d’Italia è l’unico partito rappresentato in Parlamento a essere stato negli ultimi dieci anni sempre all’opposizione. Del Governo Letta, poi di quelli Renzi, Gentiloni, Conte I, Conte II e infine Draghi. La lunga marcia del partito meloniano, fattasi rapidissima nell’ultima legislatura, si è evidentemente giovata di una coerenza tra le posizioni dichiaratamente anti sistema e quelle pregiudizialmente anti governo. Fratelli d’Italia non ha pagato il prezzo delle contraddizioni addebitate a Forza Italia e più recentemente alla Lega, forze politiche ripetutamente coinvolte in esecutivi di emergenza o di necessità non perfettamente compatibili con le posizioni e la strategia unitaria del centro-destra.

Meloni ha fatto dell’isolamento una rendita e la base per una nuova e diversa unità e alternativa del centrodestra. È molto probabile questa scelta, che ex post sembra essere stata programmata in tutti i suoi sviluppi, sia dipesa anche da ragioni congiunturali e casuali. Però è certo che ad avere portato Meloni a Palazzo Chigi è in primo luogo il fatto che per un decennio non c’era mai entrata, se non per contestare le scelte dell’esecutivo in carica. Le contraddizioni per Fratelli d’Italia iniziano adesso, alla prova del governo, in cui Meloni dovrà ripudiare, relativizzare o normalizzare una piattaforma politica manifestamente estremistica, sia in senso populista che sovranista.

In questi dieci anni Meloni ha sostenuto tutte, proprio tutte le posizioni, che il Quirinale e le cancellerie europee si aspettano che il suo Esecutivo avversi in modo risoluto, dall’uscita dall’euro, alla supremazia del diritto nazionale su quello europeo, dall’asse sovranista con Orban, alla condiscendenza verso l’espansionismo russo in Ucraina, su cui bisogna sempre ricordare che, fino al 24 febbraio 2022, la linea di Fratelli d’Italia era indistinguibile da quella di Forza Italia e Lega: no alle sanzioni, sì all’annessione della Crimea, comprensione per le “paure” agitate dal Cremlino.

Meloni ha prestato esplicitamente tutte le garanzie richieste e la sua figura oggi paradossalmente rappresenta il fattore di più sicuro allineamento euro-atlantico, in una maggioranza in cui le doppie fedeltà di Berlusconi e Salvini sono apertamente dimostrate da dichiarazioni improvvide e da fuori onda imbarazzanti. D’altra parte, il contesto interno e internazionale – una guerra che non accenna a concludersi, una dipendenza politico-finanziaria dell’Italia dall’Ue che il Pnrr e le riserve di debito italiano della Bce attestano in modo inconfutabile – offrono l’occasione e la giustificazione per quello che però una parte cospicua dell’elettorato della destra italiana potrebbe considerare un trasformistico voltafaccia.

La cosa più semplice per l’opposizione sarebbe fare all’Esecutivo di Meloni tutto ciò che Meloni e il suo partito hanno fatto agli Esecutivi precedenti e in particolare a quello di Mario Draghi: gridare allo scandalo ogni volta che la coperta si rivela troppo corta, soffiare sul fuoco ogni volta che il disagio economico accende la frustrazione di una società indebolita, sobillare la piazza alla rivolta ogni volta che un’opinione pubblica intrappolata in problemi apparentemente insormontabili, anziché chiedere soluzioni, parte alla caccia dei presunti “colpevoli”. In questo modo però l’opposizione concorrerebbe a cronicizzare il circolo vizioso della demagogia politica, che è stata la prima causa del declino dell’Italia e potrebbe essere la ragione della sua definitiva rovina.

La logica dell’occhio per occhio, dente per dente, per cui Meloni meriterebbe la stessa opposizione che ha costretto gli altri a subire, non libererebbe affatto l’Italia dalla maledizione del miracolismo politico e soprattutto non creerebbe le condizioni per una vera alternativa. Per ripristinare il principio della responsabilità democratica, degli elettori come degli eletti, e per riabilitare la funzione propria dei processi politici, che non è quella di acclamare i salvatori, ma di selezionare le soluzioni più efficienti in base a criteri razionali, non basta un Governo responsabile. Serve anche una opposizione responsabile. Il che non significa una opposizione debole, compromissoria o interessata alla cogestione del potere, ma una opposizione consapevole che quanto, ormai da parecchio tempo, il voto degli elettori in Italia certifica è la crisi del nostro sistema democratico. In una democrazia senza verità e senza razionalità, chiunque vinca l’Italia perde comunque. (Public Policy)

@carmelopalma