Dal 4 al 3%? La partita sullo sbarramento per le Europee

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – La notizia per cui la maggioranza sarebbe stata disponibile ad abbassare dal 4 al 3% la soglia di sbarramento attualmente fissata per le elezioni europee, su cui sembravano maturare nuovi e diversi scenari per il giugno 2024, ha subito una brusca battuta d’arresto. Lega e Forza Italia hanno smentito non solo l’interesse, ma anche il favore a questa modifica e alcuni dei potenziali beneficiari della riduzione del limite minimo di accesso all’Europarlamento (Azione e Italia viva) hanno dichiarato la propria contrarietà. Alla fine, tutto quel che al momento sembra certo è la richiesta dell’Alleanza Verdi Sinistra (Bonelli-Fratoianni) e la disponibilità del partito della presidente del Consiglio a vagliare questa ipotesi, a cui, secondo il capogruppo al Senato Malan, FdI non ha detto no, né ha detto sì. Non apre e non chiude: aspetta le mosse degli altri.

La situazione è tutt’altro che chiara, dunque. Molto più chiaro è quel che in passato è successo sulla legge elettorale per le europee e che merita una sommaria ricostruzione, per comprendere il senso e la finalità del gioco appena iniziato e non destinato a concludersi a breve, in vista dell’estate 2024. Le elezioni europee, secondo le regole dell’Ue, devono essere proporzionali, con uno sbarramento che non può superare il 5%. Fino al 2009 l’elezione dei rappresentanti italiani a Bruxelles non aveva soglie prefissate, ma solo implicite nel funzionamento della legge elettorale (cioè il raggiungimento dell’ultimo quoziente disponibile). Per fare un esempio, nel 1999 la lista del Partito dei pensionati e quella dei Democratici liberali repubblicani europei ottennero un eletto con molto meno dell’1% dei voti. A rendere molto accessibile, in assenza di sbarramenti, la rappresentanza a Bruxelles è anche il sistema elettorale tuttora utilizzato per l’assegnazione dei seggi, quello Hare-Niemeyer che è ancora “più proporzionale” del metodo D’Hondt. È vero che al tempo gli eletti italiani erano 87, divenuti 73 dopo l’allargamento dell’Ue (e risaliti a 76 dopo la Brexit). Ma anche questa riduzione, in assenza di uno sbarramento percentuale fisso, avrebbe innalzato la soglia implicita per il conseguimento di un eletto di qualche decimale, non di svariati punti percentuali.

Quattordici anni fa è stata introdotta dalla legge 10/2009 una soglia di sbarramento rigida al 4%, che, in quel momento, era superiore a quella del 2% alla Camera (con l’aggiunta del primo partito al di sotto di questa soglia, il cosiddetto miglior perdente) e del 3% al Senato prevista alle elezioni politiche dal cosiddetto Porcellum per le liste presentatesi in coalizioni che avessero superato il 10% nazionale a Montecitorio e il 20% a Palazzo Madama. Lo sbarramento per le liste non coalizzate era invece del 4% alla Camera e dell’8% (regionale) al Senato. La legge 10/2009 fu approvata, non a caso, con il voto convergente e bipartisan dei cinque partiti (Pdl, Pd, Lega, Idv e Udc) che, pochi mesi dopo, furono i soli a superare lo sbarramento del 4% alle europee. L’obiettivo dell’innalzamento dello sbarramento era evidentemente quello di ammazzare definitivamente i partiti usciti mezzi morti dalle elezioni politiche del 2008: che non avevano superato lo sbarramento fuori dalle coalizioni di sinistra (Sinistra arcobaleno e Socialisti) o di destra (Fiamma tricolore) o che si erano accasati in altre liste (i Radicali nel Pd). E la manovra riuscì. Quei partiti sono definitivamente morti.

La manutenzione/manomissione delle soglie di sbarramento è una sorta di gerrymandering all’italiana, che nel caso della legge elettorale europea presenta oggettivamente elementi di delicatezza e problematicità costituzionale. Ad averli sollevati – nessuno lo ricorda – furono proprio Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, impugnando il risultato delle elezioni europee del 2014 davanti al giudice amministrativo con un ricorso, che dal Consiglio di Stato fu rimesso alla Consulta. Il giudice remittente eccepiva la violazione del principio di rappresentatività democratica in un’elezione per cui difficilmente era invocabile il contrappeso del principio di governabilità, visto che il governo dell’Unione (la Commissione) ha bisogno dell’approvazione di parlamentari eletti, con soglie di sbarramento diverse, in tutti gli Stati membri. Nel ricorso si ricordava inoltre come il Tribunale costituzionale tedesco avesse per ben due volte dichiarato la contrarietà alla Costituzione delle disposizioni nazionali che introducevano una soglia di sbarramento prima del 5 e quindi del 3% per le elezioni al Parlamento europeo, malgrado in Germania alle elezioni nazionali lo sbarramento fosse fissato al 5%.

La Corte costituzionale in Italia dichiarò invece infondata la questione di legittimità costituzionale sulla base del principio della “indubbia trasformazione in senso parlamentare della forma di governo dell’Unione europea” e dell’obiettivo di “razionalizzare l’organizzazione dell’assemblea, obiettivo che si pone per il Parlamento europeo in maniera non diversa da come si pone per i Parlamenti nazionali”, visto che “le conseguenze della mancata previsione di una soglia di sbarramento non si esauriscono infatti in una generica difficoltà di decisione ma comportano un concreto pregiudizio per la funzionalità dell’organo rappresentativo”. Si tratta di una decisione molto discussa e criticata in dottrina, perché gli italiani eleggono solo un decimo dei deputati europei, che in qualche modo “fiduciano” il presidente della Commissione e quindi una clausola di governabilità applicata solo ad essi appare quantomeno irragionevole. Non si tratta peraltro del primo caso in cui la giurisprudenza della Corte in materia elettorale si sia avventurata in considerazioni di politica istituzionale, più che di compatibilità costituzionale.

Tornando al nodo politico della questione, si può ritenere che oggi abbassare lo sbarramento risponda a principi uguali e contrari rispetto a quelli che portarono all’innalzamento del 2009, anche se analoghi del tentativo di determinare per via giuridica l’effetto politico delle elezioni. Fratelli d’Italia potrebbe puntare all’effetto di frammentare l’opposizione e di rendere o fare percepire come possibile il superamento dello sbarramento da parte di forze che altrimenti potrebbero coalizzarsi tra loro o con il Pd, aumentando il potenziale elettorale della seconda forza politica del Paese. Dall’altra parte Forza Italia e Lega potrebbero temere, l’una al centro e l’altra a destra, la competizione di altre forze e quindi sono impegnate a rendere ardua questa impresa e a fare apparire inutile il voto per i loro concorrenti più prossimi. Al momento l’unico partito “sopra soglia” che ha da guadagnare da una possibile dispersione dei voti alle prossime europee è Fratelli d’Italia ed è infatti il più disponibile a trattare. Ma questa solitudine tra i partiti che contano è anche la ragione per cui, se si dovesse scommettere, alla fine sarebbe più saggio puntare sul 4 che sul 3. Sullo stallo, non sul cambiamento. (Public Policy)

@carmelopalma