Dalle amministrative alle alleanze: i fronti aperti nel Pd

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Rimettere insieme i pezzi è sempre complesso, dopo una sconfitta. Ma è quel che tentano di fare i riformisti del Pd dopo la cenciata dello scorso 26 febbraio, quando Elly Schlein ha vinto le primarie e ha iniziato a plasmare la sua idea di partito. Nel fine settimana “Energia popolare”, la corrente di Stefano Bonaccini, si è ritrovata a Cesena per cercare di organizzare l’opposizione, seppur costruttiva, alla segretaria del Pd. C’è preoccupazione, tra i riformisti, tra i cattolici, tra i moderati del Pd. Temono che il profilo dei democratici possa subire un’involuzione, tutta identitaria, firmata dalla nuova leadership. E temono anche che il voto dei mesi scorsi a Elly Schlein non si traduca in consensi alle elezioni amministrative e (quando ci saranno) alle elezioni politiche. Per non parlare poi delle elezioni europee, nel 2024. “Vogliamo un partito più grande e più forte, deve essere per forza plurale e più aperto”, ha detto Bonaccini a Cesena.

I fronti aperti nel Pd da Schlein non sono pochi, in tutta Italia. C’è quello in Campania: lo scontro con Vincenzo De Luca, che nel 2020 vinse le elezioni regionali con il 70 per cento, è sempre più serrato. La segretaria ha deciso che De Luca non solo non può fare il terzo mandato ma è anche persona non grata nel Pd.  “Rivendico la nostra battaglia contro ‘i cacicchi’ e i ‘figli di’, per ridare dignità alla politica. È in corso una guerra civile”, ha detto a The Post Internazionale Sandro Ruotolo, responsabile Informazione e cultura del Pd nazionale. L’impressione è che De Luca potrebbe candidarsi lo stesso, anche senza il Pd. Ma la strada è lunga, c’è tempo: non si vota fino al 2025.

C’è poi la questione delle elezioni amministrative dell’anno prossimo. La Toscana è osservata speciale, visto che si vota in Comuni importanti come Firenze, Prato, Livorno, Empoli. È in quelle città, l’anno prossimo, che si decideranno le elezioni regionali toscane del 2025, il cui valore politico è stato ben sintetizzato dal deputato e segretario toscano Emiliano Fossi: “Sono almeno 12 anni che ci sono segnali di progressivo sgretolamento del consenso nei confronti del centrosinistra e del Pd”, ha detto: “A ogni passaggio elettorale, abbiamo perso parti importanti della nostra regione. Quindi continuare a raccontarci che siamo un partito forte rischia di essere una novella che ci raccontiamo, mentre il mondo cambia e noi non ce ne accorgiamo. E io, come si dice dalle nostre parti, preferisco aver paura che toccarne. Questo processo è storicamente in corso e non si arresta da solo. Vedo con preoccupazione le prossime scadenze elettorali, come le Regionali del 2025. Sappiamo bene che se perdiamo la Toscana il Pd è finito. Non solo il Pd toscano, ma il Pd nazionale”.

Ci sono dunque le alleanze. Farle, come farle, con chi farle? Il M5s sembra essere un interlocutore privilegiato, anche se ogni volta che il Pd si aspetta un passo in avanti sul percorso della romanizzazione dei barbari le cose si mettono male. Esempio recente: il capogruppo del M5s al Senato Stefano Patuanelli ha proposto, via Corriere della Sera, la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti. Giuseppe Conte però lo ha subito stoppato. Con il Pd ci potrebbe essere sul tema un dialogo. Di recente proprio al Senato il Pd ha presentato un disegno di legge per rivedere le forme di finanziamento ai partiti, a partire anzitutto dall’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, per obbligare gli schieramenti alla trasparenza. “Assicurare ai partiti politici un finanziamento pubblico ragionevole, condizionato al rispetto dei principi di democrazia interna e di gestione trasparente delle risorse, rafforzando al tempo stesso i limiti al finanziamento privato, contribuisce ad assicurare la separazione e l’autonomia della sfera politica dalla sfera economica”, scrivono i firmatari del disegno di legge, che permetterebbe, fra le altre cose, di “incrementare le risorse pubbliche che possono essere destinate dai cittadini ai partiti politici”: l’autorizzazione di spesa relativa al fondo per l’attuazione della destinazione volontaria del due per mille verrebbe aumentata da 25,1 a 45,1 milioni di euro. Il Pd avrà coraggio di intestarsi una battaglia cercando di coinvolgere i riottosi alleati?

Con l’ex Terzo polo il Pd procede invece a corrente alternata (ma solo con Azione, come dimostra il caso del salario minimo; Italia viva, che ha non poche turbolenze, sembra diretta altrove, sempre che non perda pezzi nei prossimi mesi). Il problema dell’ex Terzo polo tuttavia sta nella sua inaffidabilità: è inaffidabile anche per gli stessi partiti che dovrebbero comporlo, figuriamoci per gli altri. (Public Policy)

@davidallegranti