Darwin e la politica. I rischi evolutivi dell’homo democraticus

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – La democrazia e la società aperta che ne costituisce, a un tempo, la condizione e la garanzia, non rappresentano affatto quel compimento della Storia che le ottimistiche teleologie liberali avevano annunciato dopo il crollo del muro di Berlino, con un colpevole e contraddittorio rovesciamento dell’escatologia comunista.

Come tutte le forme di vita, anche quelle politiche, hanno una storia evolutiva casuale e imprevedibile e caratteristiche organiche, che i mutamenti del contesto ambientale rendono più o meno adatte e competitive nella lotta per la sopravvivenza. Che le società libere siano più forti e dinamiche di quelle sottoposte a regimi autoritari e totalitari è vero solo nelle condizioni in cui, fino a pochi anni fa, si sviluppava la loro competizione economica e civile. L’indissolubile legame tra la storia della razionalità e quella della libertà non certifica affatto l’irreversibilità di quel processo di emancipazione umana da una condizione di ignoranza e di servaggio, di violenza e di miseria che a ragione identifichiamo come il segno fondamentale della modernità democratica, ma a torto eleviamo a principio assoluto di auto-creazione e di auto-distruzione politica, quasi che la “libertà liberale” fosse il vertice e il suggello della dialettica storica e non una specie politica sottoposta, alla pari di tutte le altre, ai rischi e agli inciampi dell’evoluzione.

Se si accettasse che la storia umana non è il dipanarsi destinale della storia dello Spirito, ma è un insieme di passi dentro l’ignoto e di congetture circa il futuro – cioè se si accettasse davvero la miseria di ogni storicismo, ancorché stentoreamente liberale – sarebbe forse maggiore la percezione del pericolo e la probabilità di scamparne i colpi. Invece l’impressione è che quella precaria e recente creatura politica con poco più di due secoli di vita, in un perimetro storico-geografico peraltro circoscritto e imperialmente dilatato nei periodi di maggiore fortuna, continui a percepirsi aere perennius, senza alcuna consapevolezza delle trasmutazioni cui la sua natura è sottoposta sotto la convergente pressione di cause interne ed esterne.

Non passa praticamente giorno o elezione senza che si vedano i segni del ripudio dei fondamenti storici della democrazia liberale da parte dell’homo democraticus occidentale. Si tratta, prevedibilmente, di un effetto del processo di marginalizzazione demografica ed economica del vecchio “mondo libero” e di una sindrome dell’assedio che non a caso elegge a rifugio identità politiche – etniche, religiose e nazionali – tanto anacronistiche, quanto astratte nella loro sostanza simbolica. La globalizzazione resuscita i fantasmi di tutto ciò che ha seppellito nei suoi cimiteri.

Allo stesso tempo il ripudio della democrazia liberale – nei suoi presupposti fondamentali: a partire dalla divisione e limitazione dei poteri sovrani, della libertà economica e del pluralismo civile – è anche un prodotto originale della degradazione del discorso pubblico a sottoprodotto algoritmico della cosiddetta società della comunicazione. L’oblio della conoscenza nell’oceano infinito del conoscibile a (apparente) portata di click. Il massimo del condizionamento nel minimo (apparente) delle barriere per la partecipazione al dibattito delle idee.

Insomma il ripudio della democrazia è una sindrome auto-immune delle società democratiche, una vulnerabilità sostanzialmente auto-prodotta dall’universalizzazione del free speech individuale in un sistema di programmazione digitale del pensiero collettivo. Non c’è nessun disegno, né tantomeno alcun complotto. C’è la potenza smisurata di un paradigma tecnologico di controllo incontrollato e, in larga misura, incontrollabile. Il genio maligno è (definitivamente?) scappato dalla lampada magica dei nostri device. Stretto a tenaglia tra arcaismi ideologici e futurismi tecnologici, l’homo democraticus evolve – verrebbe da dire: “naturalmente” – verso forme di vita politica a contenuto sostanzialmente irrazionale e la democrazia stessa si trasforma da agorà del pensiero critico in mercato dell’alienazione intellettuale e morale.

Alla fine magari scopriremo che la glaciazione cognitiva provocata della polarizzazione della comunicazione social e dal nostro nuovo modo di funzionare come “animali sociali” porterà all’estinzione dell’homo democraticus, come 65 milioni di anni fa l’inverno nucleare prodotto dall’impatto con la terra dall’asteroide di Chicxulub portò all’estinzione dei dinosauri. Non è detto che finisca così, ma capire quanto sia possibile, se non probabile una fine di questo genere è la vera sfida esistenziale delle democrazie contemporanee. Meglio guardare con un occhio darwiniano anche ai processi del mondo immateriale e alle meraviglie di quello digitale. (Public Policy)

@carmelopalma