Davvero tutte le liste alleate Pd sono esonerate dalla raccolta firme?

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – Tra i problemi che Letta si troverà presto ad affrontare, uno dei meno considerati, ma dei più delicati e potenzialmente problematici, riguarda la modalità di presentazione delle liste che, insieme al Pd, concorreranno a formare il campo progressista. Al momento, salvo sorprese, si tratta di Impegno civico (Tabacci-Di Maio), Azione/Più Europa e l’alleanza Verdi-Sinistra (Bonelli-Fratoianni).

Queste tre liste, stando alle dichiarazioni dei loro rappresentanti, danno per scontato di avere il diritto di presentarsi alle elezioni senza raccogliere le firme dei cittadini, ma di sicuro ne hanno l’esigenza. Non solo perché la raccolta, in tempi molto stretti, sarebbe decisamente complicata (circa 60.000 firme autenticate e certificate), ma anche perché dovrebbe in ogni caso avvenire non solo sulle “liste di partito”, ma anche sulle candidature uninominali comuni (147 per la Camera, 74 per il Senato), su cui le trattative proseguiranno, come sempre accade, fino all’ultima notte. Se l’esigenza è chiara, il diritto è altrettanto certo?

Dipende da come gli uffici elettorali dei Tribunali e delle Corti d’appello, cui dovranno essere presentate le liste, interpreteranno l’art. 6-bis del decreto legge 41/2022, che estende l’esonero dalla raccolta firme dai soggetti che ne sono titolari in forza della regola generale (i partiti che hanno gruppi parlamentari in entrambe le Camere, dall’inizio della legislatura) ad altri soggetti recentemente “recuperati” in extremis da una disposizione transitoria e speciale, come avviene molto spesso a fine legislatura (accadde anche nel 2008 e nel 2018).

Quali sono questi soggetti? La norma ovviamente non li cita, ma è come se lo facesse, perché li individua in modo preciso, con una scelta che dal punto di vista normativo appare evidentemente arbitraria.

In primo luogo vi sono i partiti costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 (Italia viva, Liberi e uguali e Coraggio Italia). Con il risultato che c’è un partito, Coraggio Italia, che conserva l’esonero anche se nel frattempo è stato sciolto, per il venire meno del requisito numerico, il gruppo parlamentare che pure di quell’esonero era il presupposto.

In secondo luogo vi sono i partiti che hanno presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri italiani del Parlamento europeo in almeno due terzi delle circoscrizioni e hanno ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale. Perché solo per le elezioni della Camera e del Parlamento europeo e non quelle del Senato? Per circoscrivere il beneficio a soli due soggetti (cui non casualmente appartengono i due presentatori dell’emendamento, Magi e Costa), cioè +Europa e Azione. La prima ha conseguito un eletto nella circoscrizione estero nel 2018 insieme a Centro democratico e la seconda ha fatto eletti nel 2019 al Parlamento europeo nella lista Pd-Siamo europei (che è la precedente denominazione di Azione).

In terzo luogo vi sono le forze che abbiano ottenuto un numero di voti validi superiore all’1% alle elezioni politiche, concorrendo alla cifra nazionale di coalizione. Perché il raggiungimento della soglia dell’1% vale solo per le liste coalizzate e non per quelle non coalizzate? Perché vale solo per le liste presentate alle elezioni politiche e non alle europee? Perché l’esonero doveva andare solo a Noi con l’Italia di Lupi, coalizzata nel 2018 e anche adesso con la destra, e non a Potere al popolo, che non era coalizzata con nessuno, e nemmeno a La Sinistra e ai Verdi che alle elezioni europei erano andati ben oltre la soglia dell’1%.

Se questo è il quadro, tornando alle tre liste che compongono con il Pd il campo cosiddetto progressista, si pone una questione, che nei giorni scorsi il costituzionalista Giovanni Guzzetta ha sollevato, relativa all’uso surrettizio della norma, che porterebbe a una moltiplicazione illegittima degli esoneri.

Partiamo dalle due liste Impegno civico e Azione/+Europa. L’esonero della prima, a quanto si capisce, lo porta in dote Tabacci, quello della seconda invece +Europa. Ma la lista che ha maturato il diritto all’esonero è una sola (+Europa/Centro democratico) e la doppia denominazione non sembra proprio, in base a come è scritta la norma, dare diritto a due esoneri disgiunti, utilizzabili per due liste diverse.

La norma sembra invece dire abbastanza chiaramente che i due soggetti condividono lo stesso esonero, non già che ne hanno due. Anche perché dal punto di vista normativo, essendo l’esonero il riconoscimento di un requisito di rappresentatività, vale ovviamente per la lista, anche se composita, presentata al voto, non per ciascuna sua singola componente.

Stesso discorso vale per Azione, che condivide un esonero con il Pd per le Europee del 2019, ma, appunto, lo condivide, e non ne è titolare in proprio e non può duplicarlo. Veniamo all’alleanza Verdi-Sinistra. Il recente cambiamento della denominazione del gruppo di Liberi e uguali alla Camera in “Liberi uguali, Articolo 1, Sinistra italiana” fa pensare che questo sia l’esonero che Bonelli e Fratoianni pensano di utilizzare. Ma Sinistra italiana non era affatto costituita in gruppo, né era contenuta nella denominazione del gruppo al 31 dicembre 2021 e dal punto di vista giuridico non è una evoluzione di Liberi e uguali. Semmai una componente: una parte, non il tutto.

Questi problemi sono ingigantiti dalla circostanza che, se e quando venissero posti, come Guzzetta ritiene molto probabile, non sarà più possibile porvi rimedio. A quel punto gli uffici elettorali costituiti presso Tribunali e Corti d’Appello potranno solo accettare o respingere le liste, con effetti potenzialmente deflagranti.

La possibilità di presentarsi alle elezioni senza raccogliere le firme è da sempre oggetto di scambi politici inconfessati, perché rappresenta una nicchia di rendita parassitaria e un meccanismo di discriminazione sostanzialmente privo di giustificazioni. Un sistema davvero uguale per tutti dovrebbe prevedere gli stessi oneri per tutti, non presumere burocraticamente un superiore requisito di rappresentatività per partiti già costituiti e (micro)rappresentati nelle istituzioni.

In questo caso però c’è un salto di qualità in negativo: passiamo da un diritto deliberatamente disuguale a un diritto palesemente incerto, che rischia di falsare in modo significativo gli esiti della competizione elettorale ed è francamente incredibile che su questa materia manchi, a tutta vista, una interpretazione ufficiale e consolidata. Forse proprio perché l’interpretazione più corretta è quella politicamente più esplosiva. (Public Policy)

@carmelopalma