di Carlo Stagnaro
ROMA (Public Policy) – Il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha confermato che il decreto Energia di prossima adozione “interviene nella liberalizzazione per le famiglie, in un momento in cui non c’è la certezza che il quadro geopolitico tenga, e che quindi i prezzi possano essere previsti”. È un intervento sorprendente e sorprendentemente autolesionista. Infatti, il Governo ha tutto l’interesse ad accelerare – non rallentare – la liberalizzazione.
Vale la pena ripercorrere brevemente la storia della “maggior tutela”. Tale servizio venne introdotto nel 2007, contestualmente all’apertura del mercato, come strumento “transitorio” di accompagnamento delle riforme, in un momento in cui la possibilità di cambiare il fornitore di luce e gas era una opzione del tutto inedita. La sua natura “transitoria” venne ulteriormente sottolineata a valle di un contenzioso europeo, che solo in base a questo considerò l’esistenza di una tariffa regolata compatibile con le direttive europee. Quando, nel 2015, il Governo Renzi inserì il superamento della maggior tutela all’interno del disegno di legge “annuale” per la concorrenza, furono previste una serie di condizioni in assenza delle quali il mercato sarebbe stato considerato non maturo. Il provvedimento entrò in vigore nell’agosto del 2017. La verifica di tali condizioni – legate essenzialmente alla trasparenza e all’efficacia del funzionamento delle infrastrutture tecniche e normative per il cambio del fornitore e per la tutela del consumatore – fu affidata all’Arera, che ne riconobbe il pieno soddisfacimento in un rapporto inviato al ministero dello Sviluppo economico il 1° marzo 2018. In principio, dunque, già cinque anni fa sussistevano tutti i presupposti per completare la liberalizzazione del mercato. Oggi, sedici anni dopo l’avvio della “transizione”, il mantenimento di questo servizio non è più difendibile.
Purtroppo, da quel momento in poi si susseguirono una serie di proroghe, tutte giustificate con argomenti più o meno fantasiosi: l’ultima ha fissato per il gennaio 2024 la data ultima per l’abbandono della maggior tutela per i clienti domestici. Ed è questa che si discute di rinviare. L’argomento secondo cui vi sarebbero rischi di incrementi ingiustificati dei prezzi è inconsistente. Infatti, il meccanismo per l’individuazione dei nuovi fornitori si basa su procedure concorsuali pensate proprio per minimizzare i costi a carico della collettività. Ne è conferma l’esito delle aste già svolte in relazione alle piccole imprese nel 2021 e alle microimprese nel 2022: come confermano i relativi rapporti Arera, esse hanno determinato un risparmio per i consumatori coinvolti. Né valgono come obiezione la difficile congiuntura che stiamo attraversando o i postumi della crisi energetica del 2022. Quando, l’anno scorso, si svolsero le gare per aggiudicarsi le forniture alle microimprese la situazione era ancora peggiore eppure la partecipazione è stata ampia e la concorrenza intensa.
Tra l’altro, il superamento della maggior tutela, proprio perché è funzionale al completamento della liberalizzazione e dunque all’attuazione delle direttive europee, è un elemento essenziale delle riforme del Pnrr. L’ennesimo rinvio – il sesto – non farebbe che complicare lo sforzo del Governo di rispettare le scadenze, garantendo così l’incasso delle rate. Al limite, ciò che rischia di compromettere il buon funzionamento delle procedure è l’introduzione della clausola sociale per i call center, le cui conseguenze perverse (e la cui illogicità di fondo) sono state ben evidenziate dalla stessa Arera.
Viene quindi da chiedersi che senso abbia prendere una decisione che danneggia i consumatori e complica la situazione di Giorgia Meloni e Raffaele Fitto a Bruxelles. Il Governo si era mosso bene inizialmente, varando il decreto con le modalità per le aste relative ai fornitori post-2024 con diversi mesi di anticipo. Quello di Pichetto è dunque un voltafaccia incomprensibile: bisogna solo sperare che l’ipotesi dello slittamento sia una voce dal sen fuggita. La viceministra Vannia Gava, del resto, sembrerebbe aver confermato la scadenza di gennaio. A questo punto spetta al ministro fare chiarezza e, invece di fermare ciò che può contribuire a migliorare la situazione di circa un terzo dei consumatori domestici, correggere lo svarione dei call center, per mandare avanti una riforma giusta e utile. (Public Policy)
@CarloStagnaro