di Lorenzo Castellani
ROMA (Public Policy) – Come da tradizione, più si avvicina l’elezione del nuovo presidente della Repubblica più diventa complicato districarsi tra le ipotesi in campo e le suggestioni mediatiche. Premesso che gli esiti del voto parlamentare segreto sono sempre imprevedibili, ad oggi gli scenari sul tavolo sembrano riducibili a tre.
Il primo è l’elezione di Draghi come capo dello Stato. Soluzione che ha un grande punto a favore: esiste una maggioranza, quella di governo, e ci sarebbe un candidato unitario. Ma anche dei punti a sfavore: il primo è che il Governo perderebbe la sua guida, che in questo caso è il collante dei partiti; il secondo è la necessità di costruire un accordo politico per sostituire Draghi a Palazzo Chigi, al fine di scartare l’ipotesi di elezioni anticipate che nessuno vuole. Anche sul piano istituzionale sarebbe una novità poiché nessuno è mai passato direttamente da Palazzo Chigi al Quirinale. Questo scenario può reggere se c’è un accordo per proseguire con la stessa maggioranza ed un diverso premier dopo l’elezione del presidente della Repubblica e se Mario Draghi da nuovo capo dello Stato riuscirà ad imporre ancora la propria autorevolezza sui malconci partiti di governo indicando subito una via da seguire. Più difficile che una elezione di Draghi possa produrre un ritorno al voto, le elezioni sarebbero l’extrema ratio per tutti.
Il secondo scenario è la rielezione di Sergio Mattarella. Schema possibile: l’attuale presidente viene confermato e Draghi resta come presidente del Consiglio. Mattarella assume un mandato pieno, non potrebbe essere altrimenti, e deciderà di dimettersi se e quando lo riterrà opportuno. Questo scenario ha un rilevante vantaggio: l’equilibrio di governo resterebbe intatto. Tuttavia, esistono anche tre problemi: il primo è che il “bis” diventerebbe regola, sarebbe il secondo dopo quello di Napolitano, aprendo la strada ad un cambiamento della Costituzione materiale; il secondo, legato al primo, è che lo stesso Mattarella ha più volte manifestato la contrarietà a questa soluzione sia per ragioni personali che istituzionali; il terzo è che servirebbe una maggioranza molto ampia per convincere Mattarella al bis e, pur escludendo il sostegno di Fratelli d’Italia, la posizione della Lega non sembra particolarmente favorevole a tale opzione. Questi elementi possono portarci a considerare questo scenario come iniziale, tutti i partiti (o quasi) sono d’accordo con la formula del “Mattarella-bis”, oppure finale, si torna da Mattarella a capo chino dopo aver tentato molte altre strade senza successo. Proprio come successe con Giorgio Napolitano nel 2013.
Il terzo scenario presuppone la ricerca di un, sia perdonata l’espressione, “simil-Mattarella”. Ossia una figura molto simile all’attuale presidente: grande esperienza, lunga carriera, cariche istituzionali importanti già rivestite. La lista dei potenziali aspiranti, tra ex giudici costituzionali, consiglieri di Stato, presidenti delle Camere, è lunga. Tuttavia, figure di questo genere corrono spesso il rischio di finire impallinate dai franchi tiratori per un motivo o per un altro. È probabile che la carta del simil-Mattarella emerga alla fine, qualora le ipotesi Draghi e Mattarella-bis fossero scartate per mancanza di accordi o di disponibilità. Questa dovrà necessariamente essere una figura con un prestigio tale da non sfigurare di fronte a Draghi e allo stesso predecessore Mattarella, elemento che sembra escludere dalla partita una serie di politici esperti ma forse oramai consumati dai tempi, con i quali l’attuale presidente del Consiglio potrebbe trovarsi in una posizione scomoda. Da ultimo, in questo terzo scenario sarà rilevante la composizione della maggioranza che eleggerà il simil-Mattarella, poiché l’elezione di un presidente della Repubblica con una maggioranza diversa (ad esempio senza la Lega) da quella che sostiene l’attuale Esecutivo potrà avere delle ripercussioni anche sul Governo Draghi e il suo futuro.
RISCHI
Mentre la politica italiana è molto concentrata sulla partita del Quirinale, si assiste ad una crescita dei rischi di sistema che la politica dovrà a breve affrontare. Il primo rischio, quello più rilevante, è la crisi energetica. Le ripercussioni possono essere pesanti su molteplici fronti: le famiglie, le imprese e le casse dello Stato. Inoltre, una continua ascesa dei prezzi delle materie prime può aprire la strada ad una dinamica inflazionistica ad oggi sottovalutata da gran parte degli analisti. L’inflazione può erodere i salari, ma anche accrescere i costi per le infrastrutture e gli investimenti pubblici riducendo la portata economica del Pnrr.
Il secondo rischio riguarda proprio la procedura di attuazione delle politiche del Next Generation Eu. L’Italia è un Paese tradizionalmente molto lento nel portare a termine le riforme ed i cicli di policy. Questa lentezza, di fronte ad un rapido peggioramento dell’economia derivante da fattori esogeni, può veicolare la sensazione nell’opinione pubblica che ci siano delle promesse mancate da parte della politica italiana ed europea. Scaricare a terra i progetti in pochi mesi è difficile, ma è anche l’unica strada possibile per evitare che lo stimolo fiscale europeo sia percepito nel medio periodo come irrilevante o insoddisfacente da gran parte dei cittadini.
L’ultimo rischio è la vuotezza dei partiti politici italiani. Dopo Draghi non si scorrono all’orizzonte leadership forti o particolarmente credibili. Il sistema politico è oramai dipendente dal commissariamento imposto dal Quirinale e dal vincolo esterno europeo, ma evocato dagli stessi partiti per manifesta debolezza. L’Italia non riesce a trovare una stabilità politica né una classe governante. Cosa succederà quando finirà l’“eccezione Draghi”? Nessuno lo sa, ma è chiaro che a breve il pallino tornerà ai partiti e nessuno di essi sembra essere in buone condizioni. Il rischio che coalizioni scomposte, precarie, momentanee continuino a governare nei prossimi anni è elevato. Ma come si possono progettare riforme pluriennali con un sistema politico così debole e delegittimato? (Public Policy)
(foto Daniela Sala / Public Policy)