di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – Il decreto legge approvato dal Senato potrebbe essere ingenuamente considerato l’inizio della fine del Superbonus e del ritorno alla normalità, mentre è solo la prima stazione di una penosissima Via Crucis fiscale determinata da un gigantesco “schema Ponzi”, che trascinerà i propri effetti ed i relativi costi per moltissimi anni.
Il Superbonus era stato presentato come la nuova pietra filosofale, cioè come un meccanismo miracoloso di autoriproduzione della ricchezza. Dall’erario al mercato e ritorno, a ciclo continuo. La montagna di crediti fiscali generata – all’inizio di aprile l’Agenzia delle Entrate ne stimava 160 miliardi solo per il Superbonus, quasi 220 comprendendo gli altri bonus edilizi – ha avuto effetti limitati in termini assoluti e limitatissimi in termini relativi sul PIL. Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici dello 0,5% per cento nel 2021 e dello 0,9% nel 2022, quando la crescita era stata rispettivamente del 7% e del 3,7%.
Il maggior gettito stimato – su questo convergono le stime dell’Agenzia delle Entrate e dell’istituto diretto da Carlo Cottarelli – è stato di meno di un euro ogni cinque spesi in detrazioni e quindi il Superbonus non si è affatto auto-finanziato, come continuano a sostenere molti dei suoi “inventori”, nel M5s e non solo e non si è neppure trasformato in una manna patrimoniale, piovuta generosamente e equamente dal cielo del bilancio pubblico sulle case di tutti i cittadini.
Gli interventi del Superbonus, secondo il rapporto Enea al 31 marzo 2023, hanno complessivamente riguardato 494.406 edifici. Secondo i dati Istat il numero di edifici residenziali in Italia è di 12.187. 698, pertanto la misura ha avuto un impatto su circa il 4% per cento del totale degli edifici residenziali censiti in Italia. Il Superbonus è stato però qualcosa di ben diverso dal clamoroso errore di calcolo di una masnada di incompetenti allo sbaraglio. È stata la rappresentazione perfetta del funzionamento del sistema del consenso in Italia. È stato un esercizio paradossale di razionalità politica, in un Paese ormai abituato a ritenere che la razionalità economica non sia un vincolo morale per l’azione di governo, ma un ostacolo burocratico indebitamente opposto al pieno dispiegarsi della volontà e sovranità popolare.
Il Superbonus non è il prodotto dell’ignoranza, ma dell’irresponsabilità del legislatore italiano e ha riscosso un consenso diffuso ben oltre i confini della risicata platea dei suoi beneficiari, perché ha suggerito anche ai tartassati – i milioni di contribuenti che pagheranno il conto, senza aver partecipato al pasto – l’idea che quel che si è fatto per la casa – il bene feticcio, non il bene rifugio degli italiani – si sarebbe potuto replicare per altre esigenze e emergenze, anche dopo la fine della tempesta pandemica.
Come tutte le scelte più catastrofiche della storia della finanza pubblica italiana, anche il Superbonus è stato una decisione sostanzialmente unanime. Ci si è divisi, fin dall’inizio, solo tra chi lo voleva e chi ne voleva di più. Due soli partiti l’hanno avversato da subito, Azione e +Europa. Quando i partiti che sostenevano il Governo Conte II – M5s, Pd, Iv e Leu – l’approvarono non trovarono alcuna resistenza, ma la richiesta di una più larga e incondizionata generosità tra le forze dell’attuale maggioranza – FdI, Lega e FI – che fino alle elezioni del 2022 difesero la bontà e l’intoccabilità del Superbonus, impedendo a Draghi di dichiararne la fine anticipata. L’unità opportunistica attorno a questa misura è stata la conseguenza di un’unità ben più profonda attorno al principio del “primato della politica” nella sua accezione predatoria e auto-depredatoria, caratteristica di tante pagine della storia nazionale, democratica e no. Le scelte politiche dipendono in primo luogo non da quanto elettori ed eletti decidono di quel che vogliono, ma da quanto fanno di quel che possono, commisurando il costo dei mezzi al valore dei fini e negoziando le parti di risorse in ogni caso finite, oltre che, per definizione, scarse e insufficienti a soddisfare tutti i desideri.
L’infrazione di questa regola, il sovvertimento di questa elementare etica della verità, non è una semplice inefficienza, ma una vera e propria effrazione del principio democratico, oltre che la prima e vera questione morale nazionale, non a caso elusa e surrogata da interminabili telenovele giudiziarie sulle briciole del banchetto della nostra democrazia di scambio. Orwell scriveva che la libertà è in primo luogo la libertà di dire che due più due fa quattro e che tutte le altre libertà conseguono naturalmente da questa. Non è solo metaforicamente, ma materialmente vero, perché nessun principio di uguaglianza o di equità, nessun meccanismo distributivo, nessun riconoscimento di diritto è possibile dove due più due non fa quattro, e dove le regole dell’aritmetica sono subordinate alle metriche del potere e della propaganda o, come oggi si direbbe, della comunicazione. E il Superbonus questo è: un cumulo di macerie fiscali e quel che resta (poco) della democrazia e della libertà, quando due più due smette di fare quattro.
@CarmeloPalma