(Public Policy) – Roma, 3 mag – Strette di mano, un ‘giro’
tra gli uffici del ministero e un messaggio di saluto al
corpo diplomatico in cui si mettono in evidenza alcuni tra i
punti chiave del suo mandato: integrazione europea, caso
marò e crisi siriana. Sono state queste le tappe di quello
che ieri, di fatto, è stato il primo giorno operativo del
neo ministro degli Esteri Emma Bonino alla Farnesina.
In capo all’ordine del giorno dell’agenda esteri c’è il
caso dei due fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore
Girone, trattenuti in India con l’accusa di aver ucciso due
pescatori al largo delle coste indiane del Kerala. Questa
mattina a palazzo Chigi un primo passo di politica estera
(targato Bonino) è stato fatto: l’ambasciatore Staffan de
Mistura è stato nominato inviato speciale presso il governo
indiano per la questione.
Ma già subito dopo la nomina a ministro Bonino ha detto:
“Penso che sui marò avremo una soluzione, come giusto che
sia: sono fiduciosa. Ci sono state slabbrature da molte
parti, ora spero ci sia un nuovo inizio nel rispetto dei
reciproci ruoli. L’India è un grande paese”.
Come raccoglierà Bonino l’eredità dell’ex ministro della
Farnesina Giulio Terzi? Sarà coerente con il recente voto
all’Onu sul riconoscimento dello stato palestinese (del 29
novembre 2012), appoggiato anche dall’Italia? La domanda non
deve suonare impropria: è noto il favore con il quale il neo
ministro degli Esteri guarda a Israele di cui da anni
auspica l’ingresso nell’Unione europea:
“Israele – ha scritto la leader radicale nel 1999 –
rappresenta l’occasione che l’Ue ha di rafforzare
definitivamente la sua credibilità come attore capace di
contribuire alla soluzione di conflitti e di generare nuove
dinamiche di sviluppo a livello internazionale”. Il tema
resta aperto, come resta aperto il nodo della nostra linea
di condotta rispetto alla guerra civile siriana.
IL CONFLITTO SIRIANO
Secondo l’ex commissario Ue (dal 1995 al 1999) per fermare
“la spirale delle atrocità” del conflitto siriano (iniziato
il 15 marzo 2011 e divenuto guerra civile nel 2012) “abbiamo
il dovere – spiega in un’intervista a Linkiesta il 29 maggio
2012 – di ripetere l’operazione già compiuta nei confronti
di Slobodan Milosevic e dell’ex dittatore della Liberia,
Charles Taylor. I quali vennero accusati dai tribunali ad
hoc sulla ex Jugoslavia e sulla Sierra Leone per rispondere
dei crimini di guerra e contro l’umanità sui quali avevamo
raccolto le testimonianze e gli elementi di prova”.
È indispensabile secondo Bonino “attivarsi per disegnare
una ‘mappa’ dettagliata delle prove dei massacri perpetrati
in Siria, con lo scopo di far giudicare i loro responsabili
dalla Corte penale internazionale dell’Aja.
Per condurre in porto questa cruciale iniziativa abbiamo
però bisogno del più ampio e convinto appoggio politico e
finanziario, della più elevata professionalità degli investigatori,
e di una solida protezione dei testimoni”.
PRIMAVERE ARABE
Nel suo primo messaggio alla Farnesina non è mancato un
accenno al Mediterraneo della post-Primavera araba verso il
quale l’Italia “deve svolgere un ruolo politico di primo
piano, proiettando nelle transizioni verso la democrazia i
valori universali della libertà, della divisione dei poteri,
del rispetto delle minoranze”. Valori per cui Bonino si
batte da molti anni e che oggi vuole portare al centro della
diplomazia italiana assieme a una spiccata vocazione per la
cooperazione internazionale.
“In linea con la mia esperienza – aggiunge – ritengo
rimangano prioritari i temi della pace e della sicurezza,
dei diritti umani, della cooperazione allo sviluppo”.
AFGHANISTAN
Note sono le posizioni della leader radicale sulla guerra
in Afghanistan. Durante le elezioni parlamentari del 18
settembre 2005, Bonino da Kabul disse: “L’intervento armato
– si legge in un articolo pubblicato nel suo sito – ha messo
fine a uno dei regimi più repressivi, sanguinari e
grotteschi: quello talebano. Peccato che poi sia arrivato
l’Iraq, che ha avuto l’effetto di tralasciare il cantiere
aperto in Afghanistan con il rischio che sprofondasse nel
caos”.
Ma un intervento militare può condurre alla democrazia? “In
linea teorica sì – scrive Bonino – anche se nel caso
dell’Afghanistan non si può parlare di occupazione: qui c’è
una forza multinazionale. Ma non ne farei un problema
ideologico. In Germania e in Italia il processo democratico
è cominciato sotto ‘occupazione’. Il problema è
l’applicazione pratica di questo processo”.
E conclude: “L’Afghanistan ha un presidente, un Parlamento
e 34 Consigli provinciali eletti direttamente. Il processo
di transizione istituzionale e democratica è
concluso”.
ISRAELE E PALESTINA
Sempre nel suo sito Emma Bonino pubblica un post dal
titolo: “Perché Israele deve entrare nell’Unione europea”.
Infatti, i primi ad avanzare la proposta d’ingresso sono
stati proprio i Radicali alla fine degli anni ’80,
attraverso una campagna lanciata sui media israeliani.
Questa richiesta “ha quasi vent’anni”, scrive Bonino alla
fine del 1999 e aggiunge: “Spero non abbia bisogno di altri
venti prima che maturi nella coscienza collettiva, che
diventi condivisa, e si trasformi quindi da ‘provocazione’
in realtà”.
Dalla fine del ‘900 “le incertezze e le difficoltà del
Medio Oriente – scrive – con al centro il conflitto
israelo-palestinese, sono rimaste le stesse. Come se a Tel
Aviv, a Gerusalemme, a Gaza, la storia corresse meno in
fretta. Certo, il contesto è radicalmente cambiato, ma non
per questo sono mutate le ragioni dietro ad un ingresso di
Israele nell’Unione europea”.
Sono tre le ragioni per dire ‘sì’: Anzitutto “perché
contribuirebbe, sul fronte internazionale, a risolvere
questa situazione di instabilità e di logoramento decennale
di cui sono vittime israeliani e palestinesi. L’adesione
all’Ue andrebbe ancorata al raggiungimento di accordi di
pace sostanziali e duraturi tra Israele e le altri parti in
causa”.
La seconda ragione riguarda il fronte interno. “Una seria
prospettiva di allargamento – continua – avrebbe tutto il
potenziale per innescare anche in Israele nuove dinamiche di
riforma, così come è già avvenuto con tutti i paesi
dell’Europa centrale e orientale che hanno aderito tra il
2004 e il 2007. Anche se nessuno contesta che Israele sia
una democrazia consolidata, la prospettiva dell’adesione
sarebbe un incentivo forte e univoco verso la costruzione di
una società ancora più liberale e aperta”.
La terza ragione riguarda l’istituzione. L’entrata d’Iraele
nell’Ue consentirebbe di “portare aiuto ai cittadini
palestinesi senza passare per il canale ufficiale del
governo, con cui invece i rapporti sono stati congelati in
attesa che vengano accettati i principi per la ripresa del
dialogo: la rinuncia alla violenza, il rispetto degli
obblighi internazionali e il riconoscimento dello Stato di
Israele”. (Public Policy)
SOR