di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – Il 22 giugno 2023 è stata resa nota una decisione, attesa e tutt’altro che sorprendente, della Corte europea dei diritti dell’uomo sul problema della trascrizione in Italia degli atti di filiazione registrati all’estero, per minori nati a seguito di fecondazione eterologa o maternità surrogata, con un rapporto biologico con uno solo dei cosiddetti “genitori intenzionali”.
Per comprendere correttamente questa decisione è utile un brevissimo excursus sulle pronunce, di giurisdizione interna (Corte Costituzionale e Cassazione) o sovranazionale (Corte europea dei diritti dell’uomo), che si sono progressivamente accumulate, ma è soprattutto necessario sgombrare il campo da un equivoco scientificamente coltivato, in modo sostanzialmente bipartisan, sia dagli oppositori che dai sostenitori della richiesta della piena parificazione della genitorialità biologica e non biologica per coppie, sia eterosessuali che omosessuali, con figli che hanno il patrimonio genetico di uno e non di entrambi i genitori. Il thema decidendum non è se esista un diritto delle coppie dello stesso sesso o di sesso diverso a vedere riconosciuto il proprio diritto a essere padri o madri, ma se vi sia un diritto dei minori a essere riconosciuti come figli delle coppie che li hanno voluti e curati, indipendentemente dalle circostanze del loro concepimento e della loro nascita.
Sotto questo profilo, è del tutto irrilevante che in Italia sia illecita (come in gran parte d’Europa) la maternità surrogata o che l’accesso alla fecondazione assistita non sia consentita alle coppie dello stesso sesso. Rileva se tra i diritti fondamentali del minore, anche se nato all’estero con una pratica che in Italia sarebbe non consentita e illecita, vi sia quello di essere riconosciuto civilmente e socialmente come figlio di quei genitori. In Italia la situazione è cristallizzata dal combinato disposto delle pronunce della Corte Costituzionale (in particolare n. 32 e 33 del 2021) e dalla sentenza (successiva) delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 38162 del 2022). La Consulta, decidendo sulle questioni di legittimità costituzionale, relative ai ricorsi dei genitori rispettivamente di due gemelle concepite con la fecondazione eterologa e di un bambino nato con la maternità surrogata, ne ha da una parte dichiarato l’inammissibilità, ritenendo la materia – il diritto di famiglia e quello della riproduzione – connotata da un’ampia discrezionalità affidata al legislatore, ma dall’altra ha denunciato un “vuoto di tutela dell’interesse del minore”, che il “legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, dovrà al più presto colmare … a fronte di incomprimibili diritti dei minori” (sentenza 32/2021).
Molto scettica, per non dire di peggio, la Consulta si è inoltre dichiarata sul “possibile ricorso all’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, comma 1, lettera d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia)”, che “costituisce una forma di tutela degli interessi del minore certo significativa, ma ancora non del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali”, poiché “l’adozione in casi particolari non attribuisce la genitorialità all’adottante. Inoltre, pur a fronte della novella dell’art. 74 cod. civ., operata dall’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali), che riconosce la generale idoneità dell’adozione a costituire rapporti di parentela, con la sola eccezione dell’adozione di persone di maggiore età, è ancora controverso – stante il perdurante richiamo operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 330 cod. civ. – se anche l’adozione in casi particolari consenta di stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono socialmente, e lui stesso percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso in cui l’adottante abbia già altri figli propri. Essa richiede inoltre, per il suo perfezionamento, il necessario assenso del genitore ‘biologico’ (art. 46 della legge n. 184 del 1983), che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, nelle quali il bambino finisce per essere così definitivamente privato del rapporto giuridico con la persona che ha sin dall’inizio condiviso il progetto genitoriale, e si è di fatto presa cura di lui sin dal momento della nascita” (sentenza 33/2021).
Insomma, la Corte costituzionale è stata chiara: i figli concepiti o venuti al mondo grazie a pratiche illecite in Italia devono avere, in relazione al legame giuridico e sociale coi genitori intenzionali biologici e non biologici, gli stessi diritti di tutti gli altri bambini. Successivamente è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (38162/2022), che l’Esecutivo ha utilizzato per giustificare la propria offensiva nei confronti degli stati di filiazione già trascritti da molti Comuni italiani. Ma la decisione della Cassazione è il prodotto, non la giustificazione dell’inerzia del legislatore, quando afferma, con riferimento a quella che è stata definita la “nuova categoria di figli non riconoscibili”, che “l’ineludibile esigenza di assicurargli i medesimi diritti degli altri bambini è garantita attraverso l’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), della l. n. 184 del 1983 in quanto, allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, l’adozione rappresenta lo strumento che consente di dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello ‘status’ di figlio, al legame di fatto con il ‘partner’ del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita”. Le parole chiave sono: “allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento”, cioè nello stato in cui l’ordinamento, considerato insufficiente dalla Consulta, non offre ai genitori intenzionali non biologici altro strumento che l’adozione in casi particolari.
Anche la decisione della Corte europea dei diritti umani, resa nota il 22 giugno 2023, dice di fatto la stessa cosa, in coerenza con il parere che la stessa Corte rese nell’ambito della procedura consultiva alla Cassazione francese nel 2019. La sostanza è sempre la stessa: i diritti di questa nuova categoria di figli devono essere uguali a quelli di tutti i figli e, al momento, lo strumento che in Italia consente di avvicinare questa parificazione è l’adozione in casi particolari.
Così, in questo gioco dell’oca giurisprudenziale, si torna alla casella di partenza, cioè alla giurisprudenza costituzionale, che ha già inequivocabilmente affermato che questa soluzione non è “del tutto adeguata al metro dei principi costituzionali”. Quindi la decisione del 22 giugno 2023 non chiude la questione, ma la riporta esattamente al punto in cui era iniziata e presumibilmente susciterà nuovi ricorsi e nuove questioni di costituzionalità sollevate davanti alla Consulta, obbligando i giudici costituzionali, come è già successo su vari temi eticamente sensibili, dalla fecondazione assistita al fine vita, a surrogare l’inerzia del legislatore.
@carmelopalma