Filiazione e Gpa: il regolamento Ue e il fariseismo della destra

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – Martedì 14 marzo 2023 al Senato è andato in scena uno spettacolo tanto prevedibile nelle sue forme, quanto scontato nei suoi esiti. La discussione del Regolamento presentato dalla Commissione Ue sul mutuo riconoscimento degli atti pubblici in materia di filiazione da parte degli Stati membri, di cui la commissione Politiche dell’Unione europea di Palazzo Madama avrebbe dovuto esaminare unicamente la conformità ai principi di sussidiarietà e proporzionalità previsti dai Trattati, è stata trasformata nel pretesto dell’ennesimo pronunciamento contro la maternità surrogata (o gestazione per altri – Gpa) e contro i “figli delle coppie gay”.

Ad impedire questa deriva non è bastato né il fatto che il Regolamento non comportasse affatto la legalizzazione di una pratica considerata illecita dalla grandissima parte degli Stati europei e consentita solo in alcuni ed esclusivamente in forma altruistica (senza retribuzione per la gestante), né la circostanza, tanto nota quanto sottaciuta, che il ricorso alla maternità surrogata da parte di cittadini italiani nella generalità dei casi riguarda coppie eterosessuali ed avviene fuori dai confini dell’Ue.

Per capire il senso e l’obiettivo di questo Regolamento e la sua obiettiva ragionevolezza si guardi a un caso giunto recentemente all’attenzione della Corte di Giustizia Ue, sollevato da una cittadina bulgara, sposata in Spagna con una cittadina di un Paese non membro dell’Ue. Nel 2019 la coppia ha avuto una figlia, di cui in base alle leggi spagnole entrambe le donne sono state riconosciute genitrici. Quando la cittadina bulgara ha chiesto nel proprio Paese un atto di nascita della figlia, per ottenere un documento di identità per la minore, il comune di Sofia le ha chiesto prova dell’identità di madre biologica, che la richiedente ha rifiutato di produrre. Se tra le due donne la madre biologica non fosse stata quella bulgara, per la Bulgaria – questa era la tesi – la bambina non avrebbe potuto essere sua figlia.

Il Comune a quel punto non ha rilasciato l’atto di nascita e il caso è arrivato davanti al Tribunale amministrativo di Sofia, che lo ha rinviato alla Corte di Giustizia Ue, la quale ha dato pienamente ragione alla ricorrente, in quanto il diniego del rilascio dell’atto di nascita da parte del Comune di Sofia violava il diritto della minore alla cittadinanza dell’Ue e alla libera circolazione nel territorio dell’Unione (artt. 20 e 21 del TFUE), nonché quelli al rispetto della vita e delle relazioni familiari e alla preminenza dell’interesse dei bambini nelle decisioni delle autorità pubbliche (artt. 7 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

Come è evidente, in questo caso, la maternità surrogata non c’entra nulla, mentre è evidente il nodo che il Regolamento prova a sciogliere, per impedire che la legittima differenza nei diversi ordinamenti europei in materia di filiazione si traduca in una inammissibile disparità di diritti per i minori. È proprio questo il nodo fondamentale della questione, che la maggioranza di governo ha eluso con l’ennesimo pronunciamento anti-Gpa, il quale è peraltro pleonastico e ribadisce semplicemente ciò che è scritto a chiare lettere nella legge 40/2004 (articolo 12, comma 6) e che non è certo questo Regolamento a mettere in discussione.

Considerare un figlio nato con la GPA, o comunque concepito in forme giudicate dalla legge italiana illecite, alla stregua di un “corpo del reato”, con diritti diversi e inferiori a quello degli altri bambini, a partire da quello alla stabilità e continuità delle relazioni familiari, non discende affatto dalla contrarietà alla GPA o dalla rigidità delle posizioni in materia di fecondazione assistita. Dipende al contrario da un’idea primitiva e totalitaria del rapporto tra le responsabilità dei genitori e i diritti e l’identità dei figli. Perché se una tecnica procreativa in Italia è proibita, i bambini nati altrove in base ad essa in Italia devono essere discriminati?

D’altra parte la stessa maggioranza, consapevole della mostruosità delle conseguenze di questo tribalismo, si è ben guardata dal dichiarare che dall’opposizione al Regolamento – che dovrebbe essere approvato all’unanimità dei Paesi membri e quindi il veto italiano bloccherebbe – sarebbe conseguito che tutti i minori nati con GPA siano in Italia dichiarati orfani del genitore non biologico, ovvero, nel caso di una GPA puramente gestazionale, della madre biologica non gestante.

Al contrario la maggioranza ha continuato a sostenere che il riconoscimento del rapporto di filiazione dovrebbe essere – anche qui il termine torna a pannello – surrogato da un rapporto di diversa natura, attraverso l’istituto della “adozione in casi particolari”, che però la Corte costituzionale ha già dichiarato inidoneo a salvaguardare i diritti dei figli, in quanto “non attribuisce la genitorialità all’adottante” e impone “il necessario assenso del genitore biologico (art. 46 della legge n. 184 del 1983), che potrebbe non essere prestato in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia”, essendo peraltro “ancora controverso – stante il perdurante richiamo operato dall’art. 55 della legge n. 184 del 1983 all’art. 330 cod. civ. – se anche l’adozione in casi particolari consenta di stabilire vincoli di parentela tra il bambino e coloro che appaiono socialmente, e lui stesso percepisce, come i propri nonni, zii, ovvero addirittura fratelli e sorelle, nel caso in cui l’adottante abbia già altri figli propri”.

Insomma, l’exit strategy della maggioranza di Governo da questo ginepraio di contraddizioni è un mix di oltranzismo ideologico, sabotaggio giuridico e fariseismo politico. (Public Policy)

@carmelopalma