(Public Policy) – Roma, 3 dic – L’ultima volta sarebbero
dovute andare in scena, alla Camera, lo scorso giovedì. Ma
ancora una volta, per un motivo o per un altro, si son viste
scavalcare da altri provvedimenti (in quel caso il dl sulle
pene detentive non carcerarie). Sono le mozioni (ben sette)
sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione: si va
dalla Lega, che chiede più soldi per il Nord, ai deputati
meridionali, che chiedono esattamente l’opposto.
COS’È IL FONDO PER LO SVILUPPO E LA COESIONE
Per spiegare di cosa si tratta, sul sito ufficiale del
ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, si
parte dalla Costituzione: “L’articolo 119 della Carta
costituzionale recita: ‘Per promuovere lo sviluppo
economico, la coesione e la solidarietà sociale, per
rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire
l’effettivo esercizio dei diritti della persona, lo Stato
destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali
in favore di determinati Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni’. Per dare attuazione al dettato
costituzionale lo strumento-principe è il Fondo per lo
sviluppo e la coesione (Fsc), che finanzia un’ampia gamma di
quegli ‘interventi speciali’ da effettuare in favore degli
attori istituzionali previsti dalla Costituzione”.
Prima si chiamava “Fondo per le aree sottoutilizzate”
(Fas), ed era stato istituito dalla Finanziaria del 2003.
Rappresentava il principale strumento della politica
regionale nazionale: è stato sostituito dal Fsc nel maggio
2011, per decisione del Governo Berlusconi (il ministro per
gli Affari regionali e la coesione era il pugliese Raffaele
Fitto).
Il fondo – si legge ancora sul sito – “si articola
nell’arco di 7 anni, in coincidenza con la programmazione
dei fondi strutturali dell’Unione europea, garantendo
l’unitarietà e la complementarietà delle procedure di
attivazione delle relative risorse con quelle previste per i
fondi strutturali dell’Unione europea”.
È disciplinato e descritto nel documento di indirizzo
strategico deliberato dal Cipe (Comitato interministeriale
per la programmazione economica), che ha recentemente
approvato una serie di delibere a sostegno della
programmazione nazionale e regionale del Fondo.
LE MOZIONI
La prima, datata 25 settembre, è dell’intero gruppo della
Lega Nord alla Camera, primo firmatario il presidente
Gianpaolo Dozzo. La mozione impegna il Governo a
“intraprendere le necessarie iniziative affinché siano
quanto prima adottati nuovi criteri di riparto delle risorse
del fondo […] ai fini di una più cospicua assegnazione
delle risorse al sistema produttivo del Nord e del
Centro-Nord, nonché al fine di garantire la sopravvivenza”
e il rilancio delle imprese.
Poi arrivano, tutte insieme, datate 8 e 9 ottobre, sei
mozioni “sudiste” (tutte aventi come primi firmatari
deputati meridionali). In primis il gruppetto di Grande Sud,
con Aurelio Misiti primo firmatario (insieme al candidato
alle ultime regionali siciliane, Gianfranco Miccichè):
secondo loro “nel recente passato larga parte di tali fondi
è stata impiegata per fini diversi rispetto a quelli
originari”, dunque chiedono che le risorse vengano
utilizzate “unicamente nelle aree definite ‘sottoutilizzate’,
coincidenti con il territorio ex Cassa per il Mezzogiorno”.
A testimoniare del tempo passato dalla presentazione delle
mozioni, basta guardare la terza, dove il primo firmatario è
Nello Formisano (oggi Diritti e libertà), allora ancora un
esponente dell’Idv: la sua mozione, cofirmata dall’intero
gruppo dipietrista, chiede al Governo di “assegnare nel più
breve tempo possibile alle amministrazioni destinatarie le
risorse del fondo […] e a garantire che l’utilizzo di tali
risorse sia oggetto di costante monitoraggio e valutazione”.
Puntano invece il dito contro un certo “federalismo
irresponsabile”, e la cattiva amministrazione dei fondi da
parte delle Regioni, tre repubblicani (prima firma Giuseppe
Ossorio, ragusano) e un trentino, Siegfried Brugger (Svp).
La loro mozione impegna il Governo a “ribadire,
per le risorse destinate agli investimenti pubblici
in infrastrutture, il criterio di distribuzione
tra amministrazioni centrali e regioni (pari rispettivamente
al 20 e all’80%)”; a utilizzare “tutti gli strumenti
in suo possesso affinché le Regioni si mostrinoall’altezza
dei loro compiti e delle loro responsabilità;
a prevedere, nell’annunciato progetto di revisione
costituzionale relativo alla ripartizione delle competenze
tra Stato e Regioni, meccanismi che permettano allo Stato di
intervenire direttamente nella gestione e utilizzo delle
risorse finanziarie disponibili, in caso di mancato utilizzo
da parte delle regioni inadempienti”.
La mozione successiva, a prima firma Raffaele Fitto (Pdl),
impegna il Governo a confermare “i princìpi generali di
riparto delle risorse” e a stipulare “i contratti
istituzionali di sviluppo o gli accordi di programma quadro,
al fine di mettere a disposizione delle amministrazioni
regionali le risorse per avviare concretamente le opere”.
Il Pd chiede invece all’Esecutivo (primo firmatario
Francesco Boccia, che perse alle primarie pugliesi del
centrosinistra contro l’attuale presidente Nichi Vendola) di
“assumere iniziative per attribuire al fondo per lo sviluppo
e la coesione una dotazione di risorse iscritte in bilancio
non inferiori allo 0,6% del prodotto interno lordo, risorse
che non possono comunque risultare inferiori allo 0,4% a
fine anno”.
Infine, la mozione Mpa (primo firmatario Arturo Iannaccone),
depositata il 9 ottobre: impegna il Governo
“a far sì che venga rispettata, d’ora in poi, la ripartizione
dei fondi”, e lo invita “ad assegnare, celermente, i fondi
agli enti preposti al fine di attivare, sin da subito, un
programma per lo sviluppo delle regioni del Meridione”.
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