di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Legge Severino. Misure cautelari e recidiva. Separazione delle funzioni dei magistrati. Partecipazione di membri laici ai Consigli giudiziari e al Consiglio direttivo della Cassazione. Responsabilità diretta dei magistrati. Elezione dei componenti togati del Csm. Sono sei degli otto referendum abrogativi sulla cui ammissibilità la Corte costituzionale è chiamata a pronunciarsi. Ci sono almeno trent’anni di storia dietro questi referendum, che arrivano nell’anniversario dello scoppio di Mani pulite. Decenni di battaglie politiche e giudiziarie dentro i partiti e la società civile.
A portarli avanti stavolta c’è un inedito duo: Radicali e Lega ne sono i promotori. Garantisti da sempre i primi, noti giustizialisti i secondi. Per una volta, però, hanno fatto un pezzo di strada insieme. E ora il popolo si deve poter esprimere sulla giustizia, dice il segretario della Lega Matteo Salvini. Per tanti motivi, come “gli scandali emersi in questi mesi”. Poi ci sono “i 6 milioni di italiani in attesa di giustizia”. “Le sentenze che durano 5, 6, 7 anni sono inaccettabili”. Ma la Lega, dice ancora Salvini, vuole intervenire in Parlamento sulla riforma Cartabia. Lì porterà “miglioramenti e suggerimenti. Ringrazio Amato che ha detto ‘non andiamo a cercare il pelo nell’uovo’, l’importante è che i cittadini si esprimano. I referendum sono sempre una buona notizia”. Qualsiasi referendum, dice Salvini. Forse allora anche quello sulla cannabis, che insieme al referendum sull’eutanasia attiva fa parte degli otto su cui la Corte si deve pronunciare. L’appello al popolo potrebbe essere un’occasione per la politica, come dice il presidente di +Europa (e radicale) Riccardo Magi.
Ma non tutti sembrano essere d’accordo. Anche nello stesso centrodestra i dubbi non mancano. È vero che Forza Italia ha sostenuto i referendum sulla giustizia, ma Fratelli d’Italia ha scelto di appoggiarne solo 4 su 6. Per Giorgia Meloni è “incomprensibile che questi temi non possano trovare rapida soluzione legislativa in Parlamento”. Italia viva invece ha detto sì “a testa alta” come ha spiegato Matteo Renzi, contribuendo a creare un terreno di comunanza politica con le forze politiche centriste più spostate verso il centrodestra che potrebbe essere utile per costruire il Centro di cui si parla da mesi. Poi c’è il Pd, che ha scelto la via del distacco, più o meno convinto che di queste materie dovrebbe occuparsi il Parlamento. C’è un problema però: finora non se n’è occupato. C’è chi però, nel Pd, ammette l’errore. Dice Salvatore Margiotta, senatore del Pd: “Sono pentito di non aver firmato – per disciplina di partito, e per rispetto del mio stesso ruolo in Parlamento – i referendum sulla giustizia, o almeno alcuni di essi. Se la Corte li ammetterà, farò la mia parte nella campagna referendaria”.
@davidallegranti