I rischi di un “Draghi bis”

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di Leopoldo Papi

ROMA (Public Policy) – Ci sono varie ragioni per essere scettici sulla tesi di chi, come ad esempio Sofia Ventura, Mario Monti, o Carlo Calenda, sostiene che sarebbe una dimostrazione di leadership e di atteggiamento da “grande statista”, da parte di Mario Draghi, accettare di proseguire il suo incarico a Palazzo Chigi, con l’attuale Governo o con un Governo Draghi bis, “perché c’è la guerra, la crisi energetica, l’inflazione, il Pnrr da portare avanti, non c’è più lo scudo degli acquisti del debito pubblico della Bce, i prossimi mesi saranno cruciali e non possiamo permetterci di stare senza Governo”, eccetera.

La prima deriva dallo spettacolo disordinato e indecoroso che stanno mettendo in scena le forze politiche all’indomani delle dimissioni presentate da Draghi. A partire dai 5 stelle, in cui si è innescato un sorprendente ‘effetto Ciampolillo’, un risveglio alla responsabilità da parte di molti parlamentari, disponibili a garantire la fiducia al premier passando al gruppo Insieme per il futuro di Luigi di Maio, beninteso che questo Draghi bis lo si faccia.

Gli altri partiti sono in trance agonistica da calcolo dei rischi e opportunità della tattica politica del momento: che conviene fare? A destra ci si arrovella sulla possibilità di tornare alle elezioni e cogliere una effettiva opportunità di vittoria, salvo far capitalizzare troppo a Giorgia Meloni il consenso guadagnato a danno della Lega, già dilaniata internamente dal conflitto tra populisti (Salvini) e ‘governisti’ (Giorgetti). Sull’altro fronte, per il Pd, l’eventuale perdita del “punto di riferimento del campo progressista” Giuseppe Conte rende più imminente la resa dei conti interna finora elusa e rinviata tra centristi e l’area di sinistra rappresentata da Peppe Provenzano, Goffredo Bettini e Andrea Orlando.

Il dato politico che viene evidenziato dalla carnevalata dei partiti e degli “appelli a restare” di queste ore – che fa il paio con quella dei giorni dell’elezione del presidente della Repubblica – è che qualsiasi maggioranza a sostegno di un Governo Draghi bis, questa volta non più “di unità nazionale”, ma di “responsabilità nazionale”, non avrebbe alcuna credibilità.

In questo contesto – seconda ragione di perplessità – Draghi può anche presentare un programma di fine legislatura, su cui provare a “blindare” la sua permanenza a Palazzo Chigi, ma al rischio, molto elevato, di compromettere in via definitiva la propria terzietà, che è il requisito sostanziale che ha reso possibile la sua capacità di governo. È solo e soltanto grazie alla sua autorevolezza e terzietà infatti che Draghi ha potuto tenere insieme efficacemente forze incompatibili tra loro, responsabilizzarle e indurle a sostenere l’azione del suo governo senza snaturarla troppo, nonostante qualche inevitabile compromesso e mediazione.

È illusorio ritenere che questo possa ancora riuscirgli, in un Draghi bis. Altre dimissioni, in caso di strattonamenti, veti o rivendicazioni identitarie da parte dei partiti, non saranno credibili, in questo “governicchio” di fine legislatura. È ancor più illusorio credere che tali sussulti non si verificheranno, e che simili forze politiche terranno fede agli impegni presi. Perché mai dovrebbero? Proprio nei mesi in cui ci sarà da impegnarsi nello sprint finale verso le prossime elezioni politiche, e in cui le gravi crisi che incombono – secondo l’ormai usurato elenco: guerra, energia, inflazione, pandemia eccetera – forniranno ampio materiale su cui sperticarsi in slogan e polarizzazioni ideologiche funzionali alla campagna elettorale.

L’unica funzione che può verosimilmente assolvere un Governo Draghi bis, o una riedizione dell’attuale Esecutivo, senza M5s e con conseguente rimpasto, è comprare qualche altro mese di calma ai partiti facendogli da parafulmine contro i rischi e le sfide internazionali, e consentirgli di continuare fino alle elezioni nel ‘business as usual’ dell’opportunismo politico di giornata, al riparo dal caos in cui precipiterebbe l’Italia, proprio per la loro incapacità di produrre proposte di governo affidabili e autorevoli.

Preservare l’Italia dall’inadeguatezza dei partiti è stata d’altronde la ragione per cui è stato necessario chiamare Draghi a governare. In un “Governo di responsabilità”, il premier verrebbe invece plausibilmente relegato al ruolo di notaio dei capricci velleitari di un sistema politico in bancarotta di credibilità e in piena corsa elettorale, al costo – non solo personale, ma anche per l’Italia – di ipotecare la propria reputazione per rinviarne di qui a fine legislatura, la resa dei conti con la realtà.(Public Policy)

@leopoldopapi