I rischi per la Spagna dal patto con i separatisti

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di Daniel Gascón*

ROMA (Public Policy) – Il 16 novembre Pedro Sánchez ha ottenuto dal Parlamento della Spagna la fiducia come primo ministro con 179 voti a favore e 171 contrari. Il governo di coalizione, con il Psoe (il Partito socialista spagnolo, di cui Sanchez è segretario) come primo partito e Sumar come alleato di minoranza, è sostenuto da un gruppo eterogeneo di partiti regionalisti e nazionalisti, sia teoricamente di sinistra (Esquerra Republicana de Cataluña – Sinistra repubblicana di Catalogna) che di destra (Junts per Catalunya – Uniti per la Catalogna; Partido Nacionalista Vasco – Partito nazionalista basco). Alcuni di questi sono indipendentisti: è il caso di Junts, Esquerra e di Bildu, una coalizione di partiti il cui membro dominante è Sortu, che deriva dal braccio politico dell’organizzazione terroristica basca ETA. Si tratta di una nuova versione di quella che il politico socialista Alfredo Pérez Rubalcaba ha definito “coalizione Frankenstein”, con la differenza che ora è stato incluso Junts per Catalunya, il cui voto era necessario per far giurare Pedro Sánchez come presidente del governo. Il partito più votato alle ultime elezioni generali del 23 luglio è stato il Partito popolare (ha 137 deputati contro i 121 del Psoe), ma il suo candidato, Alberto Núñez Feijóo, non è riuscito a formare una maggioranza: è riuscito a ottenere solo l’appoggio dei partiti Unión del Pueblo Navarro (Unione del Popolo Navarro, 1 deputato), Coalición Canaria (Coalizione Canaria 1 deputato) e del partito di estrema destra Vox (33 deputati: è la terza forza al Congresso dei deputati).

Il candidato socialista ha offerto impunità in cambio dell’investitura. Ha ceduto a una richiesta degli indipendentisti: una legge di amnistia per i politici e i cittadini che avessero violato la legge con l’obiettivo di ottenere l’indipendenza della Catalogna. I reati – di disordine pubblico, violenza, appropriazione indebita di denaro pubblico, terrorismo (senza condanna definitiva) – commessi tra il 2012 e il 2023 vengono estinti. Ci saranno alcune eccezioni: non rientrano nell’amnistia i reati di lesioni intenzionali e quelli che danneggiano attività finanziarie dell’Unione europea. L’amnistia è difficile da accettare per molti cittadini: fino al 23 luglio il Partito socialista era fortemente contrario alla misura. Numerosi ministri e lo stesso presidente del governo l’avevano definita politicamente inaccettabile e incostituzionale.

Non è nemmeno facile capire come negoziare la formazione di un governo con Carles Puigdemont, ex presidente golpista di una comunità autonoma, e per la giustizia spagnola latitante in un paese straniero (dal 2017 residente in Belgio, Ndt). Come capo della Generalitat catalana, Puigdemont ha sfidato le sentenze della Corte Costituzionale spagnola, violato la Costituzione, l’Estatut (lo Statuto di autonomia della Catalogna, ndt) e il regolamento del Parlamento catalano; non ha rispettato i diritti dell’opposizione e dei suoi concittadini. Sostenuto da un 47% dei voti dell’elettorato catalano, ha fatto approvare le “leggi di disconnessione” (il 6 e il 7 settembre 2017) che segnalavano il passaggio a un’altra legalità, ha organizzato un referendum illegale, ha seminato discordia tra i catalani, ha dichiarato l’indipendenza. Quando – con l’appoggio del Partito popolare, del Psoe e di Ciudadanos – è stato attivato l’articolo 155 della Costituzione, una clausola di fedeltà federale, il suo governo è stato deposto e sono state indette le elezioni. Puigdemont è scappato in un bagagliaio a Waterloo, dove sfugge alla giustizia spagnola da cinque anni. Altri leader separatisti, come Oriol Junqueras (di Esquerra Republicana), furono processati e condannati. Sono stati imprigionati e successivamente è stato loro concesso l’indulto dal governo spagnolo.

Un ulteriore paradosso è che i partiti secessionisti (Esquerra e Junts) rispetto al 2017 hanno perso 700mila voti. Alle scorse elezioni generali del 23 luglio sono stati il quarto e il quinto partito in Catalogna. Il partito più votato è stato il Psc, il ramo catalano del Psoe. Il Partito popolare ha ottenuto più voti in Catalogna sia di Esquerra che di Junts. Quelle che vengono presentate come le richieste della Catalogna sono le richieste del quarto e quinto partito di una comunità autonoma che gode di un’ampia autonomia politica in un Paese altamente decentralizzato. Con i risultati elettorali peggiori, si sono rivelati i più decisivi.

Poiché i 7 voti di Junts erano indispensabili a Pedro Sánchez per ottenere la fiducia, il partito socialista ha cambiato posizione e ha presentato un progetto di legge di amnistia scritto dagli indipendentisti: coloro che beneficiano della legge hanno contribuito a scriverla. Pochi giorni prima, lo scorso 9 novembre, il Psoe e Junts avevano firmato un accordo di governo in cui, tra le altre cose, esprimevano il loro disaccordo. In cambio dell’impunità, Junts sostiene l’investitura di Sánchez. I due partner non si fidano l’uno dell’altro. Per questo motivo, l’accordo prevede un meccanismo di verifica con un mediatore internazionale incaricato di controllare che quanto firmato sia rispettato.

Junts dal canto suo nel documento mantiene le sue rivendicazioni: considera legittimo il referendum illegale del 1-O (il referendum per l’indipendenza del 1 ottobre 2017, ndt), chiede un nuovo referendum sull’autodeterminazione (questa volta legale, consultivo, ai sensi dell’articolo 92 della Costituzione, ma che in pratica romperebbe la sovranità) e che il 100% delle tasse riscosse rimanga in Catalogna. Di fatto il Psoe accetta la narrazione dell’indipendentismo e le sue falsificazioni storiche: si risale al 1714 per raccontare una favola di oppressione, si attribuisce falsamente l’origine del processo di indipendenza a una sentenza della Corte costituzionale del 2010 sullo Statuto della Catalogna, non si fa riferimento alla Costituzione ma alle maggioranze del Parlamento catalano, non vengono citati i catalani non indipendentisti, nessuna menzione viene fatta degli abusi giuridici del 6 e 7 settembre 2017.

Particolare scandalo ha destato un riferimento al lawfare, l’uso politico della giustizia. Nel testo, con una sintassi ambigua, si apre alla possibilità che commissioni parlamentari d’inchiesta valutino se vi siano stati casi di procedimenti giudiziari ingiusti. Tutte le associazioni dei giudici hanno criticato questo riferimento al lawfare, che mette in discussione lo Stato di diritto (il Psoe ha dichiarato che questa misura in pratica non si porrebbe; Junts afferma che non rinuncia a nessuna delle parole dell’accordo, riferendosi indubbiamente al passaggio sul lawfare). Intellettuali e politici vicini al Psoe hanno criticato il testo, soprattutto per l’accettazione della narrazione indipendentista e l’uso del lawfare; ex dirigenti del Psoe come Felipe González sono stati molto critici nei confronti dell’amnistia.

Tra gli argomenti di chi contesta il provvedimento c’è l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. In questo caso, se si commette un reato con fini indipendentisti non si viene puniti; se non si è indipendentisti, sì. Molti sostengono che gli indulti concessi dal governo nel 2021 abbiano migliorato la situazione. Ma in quelle circostanze è stato concesso un indulto a dei separatisti condannati. In questo caso, con l’amnistia, è più che altro la democrazia spagnola a chiedere il perdono agli indipendentisti. Si contesta anche la sospensione dello Stato di diritto e della separazione dei poteri: il Parlamento prende decisioni che annullano i procedimenti giudiziari.

C’è un dibattito in corso tra esperti sulla costituzionalità della misura. Un segnale di degrado istituzionale è che si assume che, al di là delle tecnicalità giuridiche, la norma sarà convalidata perché la Corte costituzionale è affine al governo. Ma c’è anche un altro livello di dibattito, forse più importante, che riguarda gli aspetti più politici e simbolici. Nel 1977 fu approvata una Legge di Amnistia che in un certo senso segnò il passaggio da un regime all’altro, dalla dittatura alla democrazia. Nel dibattito sulla Legge di Amnistia del 1977, il leader comunista Marcelino Camacho disse: “Affermiamo da questa tribuna che questa è l’amnistia che il Paese richiede e che, sulla base di essa, il crimine e la rapina non possono essere considerati, da qualsiasi angolazione, come atti politici“. Il governo ha rinunciato a tutto ciò per sette voti. Molti ritengono che difendendo l’amnistia e parlando di “tensioni istituzionali”, il governo accetti implicitamente o esplicitamente l’armamentario di tesi indipendentiste. Dopo aver difeso per anni in Europa una posizione, per mere ragioni di opportunità politica il governo negozia con un leader latitante.

La situazione ha preso una china scivolosa: il governo di Pedro Sánchez ha concesso passo dopo passo ciò che gli indipendentisti reclamavano. Si diceva: concediamo l’indulto (perché l’amnistia è incostituzionale), ma non abroghiamo il reato di eversione; abroghiamo il reato di eversione ma non riformiamo il reato di malversazione per ridurre le pene per chi distrae denaro pubblico a fini politici; riformiamo il reato di malversazione ma l’amnistia è impossibile; l’amnistia è necessaria per la convivenza ma il referendum è impossibile… Finora ci sono stati l’indulto, l’abrogazione dell’eversione, la riforma della malversazione e la propostra di legge sull’amnistia. Non può essere accusato di essere paranoia chi non si fidi della parola del governo, o della sua fermezza di fronte alle rivendicazioni separatiste.

Sánchez ha parlato di “fare di necessità virtù”: così, dalla necessità di sette voti sarebbe nata la virtù di una misura che aumenterebbe la concordia e faciliterebbe la convivenza. Non sembra essere così, perché il provvedimento mira all’esclusione: se le amnistie richiedono il consenso sociale, questa è fatta esplicitamente per impedire alla destra spagnola di governare, e per evitare qualsiasi accordo con essa. La presenza di Vox, la destra nazionalista radicale spagnola, è la scusa perfetta per creare un cordone sanitario intorno al Partito popolare. Il PP ha commesso molti errori, alcuni dovuti a ottusità e altri a affarismi cinici, ma non si può affermare che il gioco di alleanze sia simmetrico: il PP ha ceduto le municipalità di Barcellona e Vitoria al Partito socialista per impedire a Junts e Bildu di governare.

In un certo senso, il progetto tende a validare la tesi di Pablo Iglesias: un’alleanza tra nazionalismo periferico e sinistra che renda impossibile l’alternanza. Il Partito popolare può avere la maggioranza in gran parte della Spagna senza aver possibilità raggiungere alcun accordo, o potendo accordarsi solo con l’estrema destra spagnola, e quindi senza avere mai i numeri per governare il paese. Ne risulta una Spagna nominalmente progressista ma molto ‘sui generis’: per formare un governo, ci si accorda con la destra nazionalista radicale di Junts, si viola l’uguaglianza di fronte alla legge, si tollera il disprezzo del nazionalismo per i diritti linguistici degli ispanofoni nelle comunità in cui governa, per compiacere i nazionalisti delle comunità autonome ricche, si danneggiano i cittadini delle comunità autonome più povere, in un esercizio creativo di redistribuzione al contrario.

Due voti su tre alle elezioni del 23 luglio sono andati al PP e al Psoe. Tuttavia, l’intesa tra le forze centrali sembra impossibile. La polarizzazione sembra solo destinata ad aumentare. Ci stiamo dirigendo, secondo le parole di Ignacio Varela, verso uno scontro istituzionale multiplo: il Partito popolare ha la maggioranza assoluta al Senato e ha cambiato il regolamento interno per ritardare, con una manovra di ostruzionismo, l’approvazione della legge di amnistia; i conservatori governano 13 comunità autonome; si prevedono disaccordi tra la Corte suprema (che ha giudicato il processo separatista) e la Corte costituzionale; il rinnovo del Consiglio generale della magistratura è ancora in sospeso. Lo stesso governo Psoe-Sumar avrà molte difficoltà e sarà soggetto a ricatti permanenti da parte dei suoi partner. Per dirla con Borges, il blocco di maggioranza non è unito dall’amore, ma dalla paura. In una certa misura, le dinamiche del processo catalano sono state trasferite a tutta la Spagna: c’è divisione in blocchi, vocazione escludente, disprezzo per le regole, degrado delle istituzioni, paralisi causata dal confronto politico. Il deterioramento della convivenza è sempre più percepibile. (Public Policy)

*Giornalista e scrittore, direttore dell’edizione spagnola di Letras Libres