Il 2023 si aprirà con quattro rischi politici

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di Lorenzo Castellani

ROMA (Public Policy) – Il 2022 per l’Italia è stato un anno importante sul piano politico: si è concluso in anticipo l’esperimento di unità nazionale del Governo Draghi, si sono svolte le elezioni politiche, si è insediato un Esecutivo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni. Dopo qualche settimana dall’insediamento del Governo di destra si possono tirare alcune somme ed elaborare qualche scenario futuro. Cinque sono gli aspetti principali che hanno caratterizzato l’avvio del nuovo Esecutivo.

Il primo è il riequilibrio interno alla destra italiana: Meloni, grazie ad un partito cresciuto nei consensi fino a surclassare Lega e Forza Italia, si è imposta come leader della coalizione e di Governo. Sia nelle trattative precedenti all’incarico che subito dopo la presidente del Consiglio ha fornito una prova di leadership, riuscendo a tenere a bada i nervosismi di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. I sondaggi e i gradimenti lo mostrano con chiarezza: Fratelli d’Italia e Meloni sono la nuova forza egemone della destra italiana, egemonia oggi certificata anche dal Governo e dai rapporti di forza formali. Che finisse così era probabile ma non scontato, considerate le divisioni che avevano caratterizzato la coalizione negli scorsi anni e anche nelle settimane prima e dopo le elezioni.

Il secondo aspetto importante è il processo di europeizzazione di Meloni, la cui leadership era percepita da tutti come pericolosamente euroscettica e nazionalista. La presidente del Consiglio ha immediatamente mandato un messaggio di pace a Bruxelles, fissando il proprio esordio internazionali proprio con i vertici dell’Unione europea. Si è così evitato lo stigma sovranista, che si sarebbe invece determinato nel caso di esibite simpatie e incontri con i leader conservatori di Ungheria e Polonia.

Il terzo aspetto importante risiede nella legge di Bilancio, dove ha prevalso la continuità sul piano macroeconomico con l’impostazione di Mario Draghi. Ciò non significa che il centrodestra abbia rinunciato a mettere in bilancio alcune misure identitarie, proprie del programma della coalizione vincitrice, ma che in termini di deficit si sono rispettate le linee concordate con Bruxelles. Non è un caso che lo spread con i Bund tedeschi sia oggi ad un livello da minimo storico e che per ora non vi siano state frizioni particolari né con la Commissione né con la Bce.

Il quarto aspetto è la tensione con la Francia sui migranti. Il Governo ha rimarcato un atteggiamento più assertivo e duro sull’immigrazione che ha determinato una dura reazione di Parigi, costretta ad accogliere una nave Ong nei propri porti. La questione va inserita in un più complicato quadro di rapporti bilaterali tra due Governi di colore politico diverso. Da anni Italia e Francia vivono un rapporto di tensione competitiva sia sul piano economico-finanziario, con una difficile integrazione tra alcune importanti realtà dei due Paesi e con una crescente insofferenza italiana verso le operazioni finanziarie di matrice francese, sia sul fronte della politica estera, con la concorrenza in nord Africa.

L’immigrazione è soltanto la cartina di tornasole di un rapporto complesso, che tende al peggioramento per l’arrivo in Italia di un Esecutivo di destra, con inclinazioni protezioniste e nazionaliste, potenzialmente capace di legittimare l’opposizione al debole Governo di Macron, privo di maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale. Interessante è stata, però, la gestione della crisi da parte di Roma. Meloni non ha trasformato lo scontro in una polemica con l’Unione europea, alla quale ha invece chiesto collaborazione sulla gestione dei flussi. Il Governo italiano si è aperto a trovare soluzioni negoziali, ottenendo per ora un piano d’azione da parte della Commissione e un impegno formale da parte degli altri Paesi ad affrontare il problema migratorio collegialmente. Dunque, il nuovo Governo di centrodestra ha evitato di spostare la polemica con Parigi a Bruxelles, facendo passare l’attrito come un problema esclusivamente bilaterale e senza cercare il braccio di ferro con la Commissione.

Il quinto e ultimo aspetto rilevante è la continuità in politica estera con il Governo Draghi. Sul fronte del supporto militare all’Ucraina e della limitazione dell’azione cinese in Italia, l’Esecutivo non si è spostato da dove si trovava. Meloni si è limitata a raccogliere la linea filo-atlantica di Draghi. Lo stesso sul fronte dell’energia: la diversificazione degli approvvigionamenti prosegue senza ripensamenti rispetto ai rapporti rotti con la Russia, mentre la proposta Draghi del price cap sul gas resta la carta giocata dall’Italia in Europa, pur se essa ha pochissime possibilità di realizzarsi con successo.

Spostando lo sguardo in avanti il 2023 si aprirà con quattro rischi politici principali. Il primo è l’attuazione difficile del Recovery Plan, da rimodularsi a causa dell’inflazione e dei costi energetici. Difficoltà che si somma alla debole capacità organizzativa, tecnica e quindi di spesa della Pubblica amministrazione italiana. Nel piano sono coinvolti tutti i livelli di governo e burocrazie spesso poco efficienti, poco competenti e in alcuni settori paralizzate da una legislazione incerta. Il Governo dovrà razionalizzare opere e politiche per fronteggiare i nuovi costi e dovrà semplificare al massimo il processo di spesa e di messa in opera. Ritardi nel raggiungimento dei target del piano sono molto probabili e non si può nemmeno escludere che il Governo non riesca a spendere tutte le risorse del pacchetto nei prossimi anni. La richiesta di proroghe e modifiche al piano, oltre che attriti politici con la Commissione, può minare la credibilità e l’affidabilità dello Stato italiano. Per questi motivi il 2023 sarà il primo banco di prova per il Governo Meloni di fronte ad una attuazione del piano obiettivamente complessa.

Il secondo rischio è rappresentato dalla politica industriale, poiché sono molte le questioni aziendali in cui è coinvolto in qualche modo il Governo. Da Monte dei Paschi a Ita Airways, da Tim e Open Fiber alla Isab Lukoil di Priolo e Acciaierie Italia il Governo è interessato ai passaggi di controllo della proprietà oppure è direttamente azionista o creditore di queste società, ma le casse dello Stato italiano non sono abbastanza corpose per fronteggiare tutti i dossier. Cassa depositi e prestiti ha speso troppo per le acquisizioni negli scorsi anni, in particolare per Aspi (Autostrade), mentre altre “amministrazioni industriali” sono troppo deboli e burocratiche. È difficile fare lo Stato-imprenditore o lo Stato-finanziatore senza adeguate risorse economiche e di capitale umano. Il rischio è pertanto quello di operazioni in perdita per lo Stato, con aggravamento del debito pubblico, oppure di depauperamento dei valori azionari di tali aziende poste sotto l’influenza statale o ancora di ritardi nella realizzazione di opere e attività strategiche.

Il terzo rischio è legato alla realizzazione di infrastrutture fondamentali, come i rigassificatori e viadotti necessari per realizzare la diversificazione dell’approvigionamento energetico. Il Governo Meloni sembra determinato a realizzare quanto necessario, ma in Italia la politica locale ha sempre avuto un forte potere di veto. L’opposizione di Regioni e Comuni, anche dello stesso segno politico del Governo, può rappresentare un problema per l’avvio di queste fondamentali infrastrutture. Nel prossimo anno vedremo se la retorica della sovranità energetica e dell’interesse nazionale riusciranno a trovare concreta attuazione e a superare le resistenze dei territori.

Da ultimo, ci sono le incertezze del contesto internazionale: una prolungata crisi energetica, un crescente protezionismo americano attraverso dazi e aiuti di Stato alle imprese e il rialzo dei tassi d’interesse della Bce potrebbero iniziare a creare problemi al governo nella gestione delle finanze dalla metà del prossimo anno. Non c’è da dimenticare infatti l’enorme peso del debito pubblico sull’economia italiana e che questo, combinato con gli altri rischi nazionali e internazionali, tornerà probabilmente presto a spingere l’Italia, per esigenze di mercato o per pressione delle istituzioni europee, verso una politica più restrittiva che nella pratica significa taglio della spesa pubblico oppure aumento delle tasse. Un restringimento che potrebbe iniziare già dalla prossima Manovra. (Public Policy)

@LorenzoCast89

(foto cc Palazzo Chigi)