Le elezioni si avvicinano: per Schlein è il tempo delle scelte

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Tra poco più di un mese Elly Schlein festeggerà un anno dalla vittoria elettorale alle primarie del Partito democratico. Prima donna alla guida del maggior partito del centrosinistra italiano, prima volta che le primarie rovesciano il voto degli iscritti, che avevano premiato al congresso l’avversario Stefano Bonaccini. E per Schlein si avvicina il tempo delle scelte, anzi di una scelta: candidarsi o no alle elezioni europee di giugno? La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ci sta pensando, mentre il leader di Forza Italia Antonio Tajani dice che o si candidano tutti o non si candida nessuno; il capo del M5s Giuseppe Conte ha già detto di no, spiegando che non è serio presentarsi per cariche che già in partenza si sa che non saranno ricoperte, così come Matteo Salvini, che ha detto no perché dice di avere già troppo da fare come ministro delle Infrastrutture e capo della Lega; Matteo Renzi è candidato da mesi. Resta solo Schlein, o quasi.

Le pressioni per non candidarsi arrivano dappertutto, anche dai suoi sostenitori più autorevoli. “Candidarsi dove tu sai che non andrai, svilisce la democrazia. La destra lo può fare, ma non un partito riformista e democratico”, ha detto Romano Prodi, che è appunto tra i principali sponsor politici di Schlein: “La squadra per andare a Bruxelles deve essere una squadra operativa con dei capilista e con giovani che imparano”. Un ragionamento condiviso dal presidente della Regione Emilia-Romagna, Bonaccini, capo dell’opposizione interna: “Come Elly ha giustamente ribadito più volte, disponiamo di una classe dirigente vera e plurale. L’escamotage di una finta candidatura in tutte le circoscrizioni serve a Meloni per coprire la debolezza di classe dirigente che ha dietro di sé”.

Il 2024 sarà, per tutti, un anno elettorale. Ci sono le elezioni regionali in Sardegna il 25 febbraio e il Pd ha scelto di allearsi con il M5s, sostenendo la candidatura di Alessandra Todde, ex vicepresidente dei 5 stelle. Niente primarie, per questo Renato Soru, ex presidente della Regione Sardegna dopo aver chiesto inutilmente le primarie di coalizione se n’è andato e ha lanciato una candidatura autonoma, portandosi dietro anche alcuni dirigenti del Pd sardo. Anche la destra è divisa, perché la Lega vuole ripresentare il presidente regionale uscente Christian Solinas, mentre Fratelli d’Italia ha già schierato – ed è anche già in campagna elettorale – Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari, che ha appena iniziato il suo tour elettorale per l’isola. Vincerà chi saprà affrontare meglio le spaccature dell’avversario.

A marzo ci sono invece le elezioni regionali in Abruzzo, e Schlein nel fine settimana è stata lì per dare il via al tour che proseguirà fino al 10 marzo, quando si voterà. Il Pd sostiene la candidatura di Luciano D’Amico, economista, ex Rettore all’Università di Teramo. Ma il vero test sono le elezioni europee. Il Pd è fermo sotto il 20 per cento – soglia psicologica inevitabilmente da superare – non muovendosi dal risultato delle ultime elezioni politiche nel 2022. Ma qual è, per Schlein, il risultato giusto? Fare meglio di un suo predecessore, Renzi, è impossibile. Il 40,8 per cento del 2014 è lontanissimo. Ma è l’unico risultato con cui la segretaria del Pd deve confrontarsi? Senz’altro no e forse la virtù schleiniana sta nel mezzo fra le elezioni politiche del 2022 e il 22,7 per cento alle Europee del 2019, quando il segretario era Nicola Zingaretti, che pure ottenne il peggior risultato del Pd nella storia delle Europee. Più basso del già citato Renzi ma anche del 26 per cento preso da Dario Franceschini nel 2009. Se le aspettative del Pd vanno messe in relazione al voto delle Politiche del 2022 allora già superare il 20 per cento potrebbe essere un risultato persino ragguardevole.

C’è poi la questione di Paolo Gentiloni. L’ex presidente del Consiglio, attuale commissario europeo all’Economia, ha detto che non si presenterà alle elezioni europee. Intende tornare a Roma, ha detto, “ma non andrò in pensione”. Magari cambierà idea, ma intanto la suggestione del rientro da Bruxelles ha alimentato il dibattito interno al Pd sulla leadership, che va sempre di moda tra i dem. Come noto, infatti, fare il segretario del Pd è un mestiere usurante. La composizione delle liste elettorali ha per il momento congelato le frizioni perché, anche tra gli avversari di Schlein, c’è chi aspira a essere candidato per un seggio a Strasburgo e discutere con la segreteria in questa fase sarebbe senz’altro controproducente. Ma se le cose dovessero andare male il problema si riproporrebbe con una certa forza. (Public Policy)

@davidallegranti