Il caso Salis e lo stato delle carceri (italiane)

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Il caso di Ilaria Salis, la trentanovenne italiana detenuta da quasi un anno nelle carceri di Budapest, immortalata in manette e con i ceppi ai piedi, ha suscitato, comprensibilmente, molto scandalo. Ne è nato dunque un caso politico con il Paese guidato d Viktor Orbàn. Anche se c’è da dire che la maggioranza di governo sembra essere poco interessata a disturbare l’alleato ungherese, quindi sono sopratutto l’opposizione e parte della pubblica opinione a incalzare l’Esecutivo Meloni.

“Ilaria Salis è una cittadina italiana detenuta in Ungheria da più di un anno (sic!) per una presunta rissa con dei naziskin. Le ragioni e le condizioni della sua detenzione sono assurde e violano le norme dello Stato di diritto. Il Governo italiano sa tutto da mesi ma non ha mosso un dito”, ha detto il leader di Italia viva Matteo Renzi: “Il problema è che l’Ungheria non rispetta le regole dello Stato di diritto: avrà Giorgia Meloni il coraggio di dire che il regime ungherese deve osservare le regole europee o l’Europa deve smettere di pagare i tanti soldi che regolarmente paga a Budapest?”. Il ministro dei Trasporti e vicepremier, Matteo Salvini, si è persino concesso qualche commento tutt’altro che simpatizzante contro Salis, che ha denunciato in un memoriale le condizioni di vita da detenuta. Topi, cimici, precarie condizioni igieniche. Non che le carceri italiane siano migliori, anzi.

Insomma forse il caso Salis, più che turbare i rapporti fra i due Paesi, le cui maggioranze di governo sono in lotta contro il presunto politicamente corretto, può servire ad alzare l’attenzione sulle condizioni in cui vivono anche i ristretti nelle carceri italiane. Nei giorni scorsi ha fatto scalpore la notizia di una madre detenuta nel carcere “Lorusso e Cotugno” di Torino insieme al figlio di appena un mese. Non è purtroppo un caso isolato. Stando ai dati del ministero della Giustizia aggiornati al 31 dicembre 2023, sono 20 le madri detenute con altrettanti figli al seguito. E, come ha detto una volta Sofia Ciuffoletti, filosofa del diritto, ricercatrice, direttrice di Altro Diritto, che nelle carceri ha visto, e non avrebbe voluto – perché “credo sia una delle cose che non fa dormire la notte” – dei bambini di età inferiore a un anno in carcere con le loro madri, “una donna in carcere col bambino è una cosa che converrebbe che tutti vedessero prima di pensare di poter normare queste situazioni”. Ma che cosa ci fa un bambino in carcere? “I bambini in carcere non ci dovrebbero fare nulla. Nel nostro ordinamento la norma del rinvio obbligatorio era stata posta a mo’ di sigillo dei diritti dell’infanzia”, ha spiegato Ciuffoletti in circostanze analoghe.

La questione riguarda solo un pezzo delle difficoltà del sistema carcerario italiano. Le prigioni italiane sono fatiscenti, sovraffollate. E che cosa vuol fare il governo per sopperire a questa atavica situazione? Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, di recente, nelle sue comunicazioni al Parlamento, ha spiegato di voler aumentare il numero delle carceri, recuperando vecchie caserme. Solo che, come ha già notato il deputato di Italia Viva Roberto Giachetti, non si capisce con quali tempi. Quanto alle risorse, è stato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, durante un question time alla Camera, a dare spiegazioni: “In poco più di un anno di Governo, sono state trovate risorse in termini di 166 milioni di euro per l’edilizia penitenziaria, a cui vanno aggiunti, gli 84 milioni di euro per 8 nuovi padiglioni detentivi previsti all’interno del Pnrr. Ciò  consentirà di realizzare 7.000 nuovi posti detentivi. Allora, questa è la Nazione in cui da anni si discute di sovraffollamento; il sovraffollamento è stimato nella mancanza di 10.000 posti detentivi e in meno di un anno e mezzo di Governo abbiamo trovato le risorse per 7.000 nuovi posti detentivi. Per affrontare e risolvere il 70 per cento del problema costituito dal sovraffollamento”, ha spiegato Delmastro. In questo modo allora, Delmastro riuscirà a risolvere anche il problema della mancanza di stanze dell’affettività?

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 10 del 2024, ha infatti appena dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del suo comportamento in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie. “L’ordinamento giuridico”, ha affermato la Corte, “tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice, con una previsione astratta e generalizzata, insensibile alle condizioni individuali della persona detenuta e alle specifiche prospettive del suo rientro in società”.

Fin qui mancavano gli spazi, vediamo se il ministro Nordio, che per il momento ha accantonato la riforma della giustizia, riuscirà almeno a trovare un posto per l’affettività dei detenuti. In ogni caso, dice a Public Policy il filosofo del diritto Emilio Santoro, l’informativa di Delmastro “fa ridere. Come se aver trovato i soldi e avere i posti in carcere fosse la stessa cosa. A parte che siamo il paese che non sa spendere i fondi europei, su questo specifico tema pochi giorni fa il suo ministro ha detto che per tutta una serie di vincoli e per la sindrome Nimby in Italia è complicatissimo costruire carceri. Il sottosegretario che fa opposizione al ministro è qualcosa che rassicura sulle politiche penitenziarie”. (Public Policy)

@davidallegranti