di Giacomo Lev Mannheimer*
ROMA (Public Policy) – Con il giuramento davanti al Presidente Mattarella, il Governo Conte-bis è iniziato davvero, anche a livello formale. E, dal punto di vista di Qubit, è iniziato col botto: per la prima volta nella storia della Repubblica, infatti, l’Italia ha un ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione.
Come cambieranno, allora, le politiche sull’economia digitale?
Innanzitutto, il nuovo ministro: Paola Pisano. Classe 1977, Pisano è docente di Disruptive Innovation e Innovazione e modelli di business innovativi all’università di Torino; dirige il Centro di innovazione tecnologica multidisciplinare dell’ateneo e presiede la commissione aziendale del dipartimento di Informatica. Questa non è la sua prima esperienza in politica. Prima di essere nominata da Conte, lavorava come assessore al digitale nella giunta guidata dal Movimento 5 stelle di Chiara Appendino a Torino. Durante il suo mandato nella giunta torinese, Pisano ha dato il via alla sperimentazione delle auto a guida autonoma e, tra le altre cose, anche ai test di RoboTo, un bar gestito da robot che per tre mesi hanno preparato e servito cocktail ai cittadini. Nel 2018 è balzata agli onori della cronaca per aver sostituito, in occasione della festa del patrono della città, i tradizionali fuochi d’artificio con 200 droni che hanno solcato i cieli piemontesi.
Quello di Conte e di Pisano potrebbe essere il primo governo a poter contare sul neonato dipartimento per la trasformazione digitale, che si insedierà a Palazzo Chigi dal 2020 con l’obiettivo di definire una strategia per “modernizzare il paese, raggiungendo gli obiettivi dell’Agenda digitale”. Il dipartimento nasce dopo l’esperienza dell’omonimo “team”, di cui sarà una sorta di erede potenziato, e su suggerimento di colui che quel team l’ha guidato dal 2016 al 2018: Diego Piacentini. Secondo CorCom, il nome in pole position per guidare il dipartimento è quello di Paolo Donzelli, attualmente coordinatore Ufficio Formazione, ricerca, progettazione europea e internazionale della Scuola nazionale dell’Amministrazione.
Ci sono poi i garanti Privacy e Agcom. Le due Authority hanno già esaurito il proprio mandato e al il Garante Privacy è stata concessa una proroga di 60 giorni al fine di garantire la continuità delle funzioni del collegio che resta in carica per l’ordinaria amministrazione.
Al di là dei nomi e dei ruoli formali, resta il nodo cruciale: ok, serve più attenzione al digitale. Ma per fare che? Nella bozza del programma di governo diffusa nei giorni scorsi, i temi toccati sono essenzialmente cittadinanza digitale, diritto di accesso alla rete, digitalizzazione della PA, portabilità dei dati, diritti dei lavoratori digitali, e web tax per le multinazionali. Emerge, da questa lista, una visione dell’economia digitale estremamente dirigista, che vi intravede moltissime minacce, e opportunità quasi esclusivamente ascrivibili all’estensione di servizi digitali alla PA. Manca invece qualunque riferimento a Impresa 4.0 e ai Competence Center, alle competenze digitali, alla promozione delle scaleup, alla cybersecurity, all’intelligenza artificiale, agli appalti digitali, e in generale alle potenzialità che policy moderne e adeguate possono generare in termini di sviluppo e crescita del Paese.
Più in generale, è difficile non essere d’accordo con Massimo Mantellini quando scrive che, nonostante l’eccitazione di molti professionisti del digitale per le diverse nomine in arrivo, “la politica delle reti, l’attenzione al digitale come paradigma per provare a risolvere i nostri guai era ed è – da sempre – un atto politico. Lo è, in misura perfino più rilevante, in un paese a basso tasso di innovazione come il nostro. Ebbene, mai come oggi una simile volontà è lontana dai pensieri della classe politica italiana. È sempre stato così, tradizionalmente da almeno vent’anni, ma mai come oggi la percezione dell’importanza di una società connessa è lontana non solo dalle intenzioni ma anche dalle parole della politica. Osservate di cosa parlano i leader, quali sono le priorità contenute negli elenchi che girano in questi giorni e capirete che l’agenda digitale non interessa a nessuno per una ragione molto semplice: perché è diffusamente percepita come un argomento ancillare, quando invece si tratta di una lente attraverso cui osservare il mondo”. (Public Policy)
@glmannheimer
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