Il taglia bollette e la foglia di fico dei “diritti acquisiti”

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ROMA (Public Policy) – di Giacomo Mannheimer* – Dopo tanto tuonare, piovve. Sembra che l’annunciato provvedimento taglia bollette sia in arrivo. La disposizione più controversa – a quel che si apprende – riguarda l’allungamento dei tempi di erogazione degli incentivi al fotovoltaico, con l’obiettivo di ridurne l’entità unitaria e il peso in bolletta.

La consistenza dei sussidi all’energia “verde” può essere consultata da chiunque: si tratta di circa il 90% della componente A3 della bolletta e vale circa 12 miliardi di euro all’anno, pagati da tutte le famiglie e diretti a poche migliaia di fortunati. Il peso degli incentivi è così elevato da rappresentare la principale ragione dell’incremento dei costi dell’energia negli ultimi anni. Ed è in quest’ottica che bisogna porre lo scontro politico che si sta consumando: da un lato i difensori degli incentivi intesi come “diritti acquisiti”, dall’altro chi invece richiama il principio della ragionevolezza del prelievo e mette in evidenza che, rispetto al momento in cui gli attuali sussidi furono introdotti, lo scenario è profondamente cambiato.

Nel caso di specie, i produttori di energia elettrica da fonti rinnovabili hanno diritto agli incentivi in forza di convenzioni stipulate con il Gestore dei Servizi Energetici (GSE). Come riportato dal sito di Assorinnovabili, Valerio Onida, commentando la misura ipotizzata, ha dichiarato che essa violerebbe le norme costituzionali in materia di retroattività delle leggi, configurandosi come “un intervento su rapporti di durata già cristallizzati in contratti di diritto privato (le convenzioni con il GSE), o comunque su decisioni già assunte dai produttori, che hanno effettuato investimenti e contratto oneri in base a previsioni economiche di cui l’aspettativa dell’incentivo è parte determinante”. Anche il prolungamento della durata dell’incentivo, che ne ridurrebbe l’ammontare annuale, sarebbe illegittimo, in quanto “un credito non ha lo stesso valore quale che sia il tempo in cui viene soddisfatto”. Inoltre, “se l’investimento (come accade nella maggioranza dei casi) è finanziato da un credito bancario, la misura, incidendo autoritativamente su tale rapporto, potrebbe rendere impossibile per i produttori far fronte agli impegni assunti con gli istituti di credito”.

È sufficiente sostituire “incentivo” con “imposta” per rendersi conto di quanto parziali e irragionevoli siano tali affermazioni. Un semplice esempio basterà a chiarire il punto: immaginiamo che una persona, nel 2011, abbia investito buona parte nei suoi risparmi in titoli finanziari riconducibili a società impegnate nella green economy, di fatto finanziandola e, per così dire, “sussidiandola”. In tre anni, l’aliquota sul capital gain passa dal 12.5 al 26%. Si badi bene: la misura ha effetto retroattivo, colpendo anche i guadagni realizzati precedentemente agli aumenti di tassazione. Per quale motivo l’investitore dovrebbe essere colpito da una misura retroattiva, se ha investito i suoi risparmi su quello stesso business i cui sussidi sono intoccabili? Lo stesso esempio può applicarsi a una qualunque misura di politica economica, come la detraibilità di determinate spese o l’aumento dell’Iva. Chiunque, infatti, può subire interventi legislativi su “decisioni già assunte” dopo aver “effettuato investimenti e contratto oneri in base a previsioni economiche di cui l’aspettativa è parte determinante”.

Quanti imprenditori e quanti lavoratori in questi anni sono – letteralmente, purtroppo – morti di pressione fiscale? Se però nessuno mette in dubbio che di anno in anno, sulla base di considerazioni generali di finanza pubblica, il sussidio implicito in una detrazione o lo svantaggio derivante da un aumento dell’aliquota di un’imposta possano mutare, perché non dovrebbe poter mutare quello relativo a un sussidio fiscale? A ben vedere, emerge chiaramente come i diritti acquisiti, anche in campo energetico, siano il frutto non di un accordo di tipo contrattuale tra lo Stato e i cittadini, ma di scelte generali di politica economica e sociale. Nessun investimento può essere considerato del tutto esente da rischio, e meno di ogni altro quegli investimenti che promettono rendimenti stellari.

Come sempre in economia, bisogna, poi, interpretare i fenomeni anche alla luce dei loro costi occulti: dietro ogni “diritto acquisito” (in questo caso i sussidi) c’è sempre un “dovere acquisito” (in questo caso il dover pagare l’energia più del necessario), che, tuttavia, viene sistematicamente ignorato. Eppure, il primo favorisce poche migliaia di persone, il secondo colpisce l’intera collettività. In ogni caso, ciò che si vuol mettere in discussione in questa sede non è la legittimità né l’opportunità degli incentivi a questa o a quella attività economica, bensì il fatto che il richiamo alla certezza del diritto e alla Costituzione non possano costituire una foglia di fico per la difesa a tutti i costi di privilegi anacronistici.

L’effetto sostanzialmente retroattivo di un provvedimento legislativo non è giusto in sé e per sé, ma nemmeno un sistema di incentivazione pubblica lo è: si tratta di scelte che, in quanto tali, scontenteranno sempre qualcuno. È la politica, bellezza. E il richiamo ai “diritti acquisiti”, in campo energetico ma non solo, sembra spesso costruito al fine esclusivo di schermare privilegi immutabili di fronte a uno scenario che, al contrario, muta e può renderli obsoleti.

Peraltro, sarebbe opportuno che chi desidera combattere battaglie politicamente corrette a favore delle sue lobbies preferite, si astenga, perlomeno, dal farlo in nome della Costituzione, in cui i diritti acquisiti non vengono nominati, e non certo per caso: l’Assemblea costituente, infatti, si oppose duramente e bocciò la proposta dell’on. Dominedò di inserire nell’articolo 25 della Carta la non retroattività della legge nei confronti dei diritti quesiti, constatando, al di fuori del diritto penale, “la mobilità che caratterizza i diritti sociali e l’importanza di non cristallizzare situazioni presenti che nel futuro, al mutare di alcune condizioni”, sarebbero potute “risultare inique”. (Public Policy)

@glmannheimer

*Pubblicato su Leoni Blog