ILVA: SE CHIUDE, COSTRETTI A IMPORTARE 5 MILIONI DI TON. D’ACCIAIO/ INTERVISTA

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(Public Policy) – Roma, 1 ott – (di Gaetano Veninata)
Prosegue, all’Ilva di Taranto, la protesta dei lavoratori
che hanno occupato la torre di smistamento dell’Altoforno 5
(di cui è previsto lo spegnimento).

Ieri sera è intervenuto
anche il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera,
ospite di Che tempo che fa, la trasmissione condotta da
Fabio fazio su Rai3: “Ci aspettiamo che l’Ilva faccia tutti
gli investimenti necessari: non ci può mai essere
un’alternativa fra salute e lavoro”, ha detto il ministro.

Public Policy ha intervistato il presidente di Federacciai
(Federazione imprese siderurgiche italiane) Antonio Gozzi,
sulle possibili conseguenze che uno stop a Taranto potrebbe
avere per l’intera filiera della siderurgia e della
meccanica italiana.

D. QUANTO PESA L’ILVA?
R. Su 24 milioni di tonnellate di acciaio prodotte ogni
anno, l’Ilva di Taranto ne produce tra gli 8 e i 10 (circa
il 40%; NdR). L’anno scorso ha prodotto 8 milioni di
tonnellate di prodotti finiti, 7 milioni e 2 di coils
(rotoli di lamiera) e 0,8 di lamiere. Arvedi (azienda
cremonese fondata nel 1963 da Giovanni Arvedi; NdR) ne
produce altri 2,4 milioni. Questo vuol dire che su 10
milioni di tonnellate di coils prodotte, l’Ilva pesa più del
70%.

D. QUANTO ACCIAIO RESTA IN ITALIA?
R. Su 8 milioni, 5 vanno nei settori di utilizzo italiani,
2,5 prendono la strada dell’Unione europea, 500 mila
finiscono extra Ue.

D. E SE TARANTO CHIUDESSE?
R. Chiudere Taranto obbligherebbe ovviamente gli
utilizzatori italiani a rivolgersi in grandissima misura
all’importazione, perchè la capacità produttiva di Arvedi è
in larga misura già saturata. Ciò significa rivolgersi alle
grandi siderurgie europee e a quelle dei Paesi emergenti.

D. QUALI SAREBBERO LE RICADUTE SULLA FILIERA?
R. L’extra costo che colpirebbe la filiera italiana della
meccanica e della trasformazione dell’acciaio è valutabile
tra i 50 euro a tonnellata in periodo di bassa congiuntura
fino a 100 euro a tonnellata in periodo di alta congiuntura
(oggi vale 450 euro a tonnellata).

Ricordiamoci che quella
dell’acciaio è una filiera d’eccellenza per l’industria
italiana, visto che abbiamo la seconda meccanica d’Europa
dopo la Germania, che occupa milioni di persone e ha un
valore aggiunto notevole, in gran parte esportato.

D. DI CHE TIPO DI COSTI STIAMO PARLANDO?
R. Ci sono costi logistici, nel senso che in assenza di
alternative sarebbe facile per i rivenditori esteri
scaricare sulle spalle dei clienti italiani tutto il costo
della logistica. Secondo: la catena della fornitura diventa
molto più lunga, perchè un conto è utilizzare il just in
time dell’Ilva, che ti consegna entro un mese dall’ordine;
un conto è approvvigionarsi sui mercati internazionali, dove
bisogna mettere in conto tre mesi.

Questo significa che tutti gli utilizzatori devono
incrementare gli stock, e questo genera altri costi. Terzo:
ci sono dei costi occulti, come la perdita di qualità del
servizio nei confronti dei clienti, meno controlli, più
incertezza sull’arrivo in tempo dei prodotti. E parliamo di
migliaia di imprese che utilizzano a vario titolo il
prodotto dell’Ilva di Taranto.

D. QUAL È LA POSIZIONE DI FEDERACCIAI?
R. Noi pensiamo che ci voglia un provvedimento legislativo
che ribadisca il fatto che, se le industrie italiane
rispettano la legge e sono a posto con le emissioni, devono
poter lavorare, soprattutto in contesti fortemente
industrializzati.

L’Ilva a Taranto non è sola, intorno all’Ilva c’è una
raffineria dell’Eni, c’è un ex arsenale, c’è un
cementificio, c’è una tangenziale assai trafficata. E come
si fa a stabilire un rapporto causale tra la presenza
dell’industria e un livello di inquinamento sopra la norma?
Vedremo ora cosa succederà con la presentazione della nuova
Aia (Autorizzazione integrata ambientale, ministeriale,
autorizza l’esercizio di un impianto a determinate
condizioni; NdR).

Pensi che il ministro Clini ha chiesto all’Ilva di dotarsi
di tecnologie ambientali all’avanguardia, 4-6 anni prima dei
suoi concorrenti europei: il decreto europeo in tale
direzione è uscito a marzo 2012, i siderurgici tedeschi
hanno addirittura chiesto una proroga dai 4 agli 8 anni e il
Governo Merkel è orientato a dargliene 6.

D. COSA DIFFERENZIA L’ILVA DAGLI ALTRI IMPIANTI EUROPEI?
D. Esistono altri 11 impianti europei come quello pugliese,
sia perchè ci sono centri abitati vicini, sia per la
presenza di forti venti che spostano le polveri dei parchi
minerali (minerali di ferro e carboni; NdR) da una parte
all’altra, ma negli altri Paesi non verrebbe mai in mente di
fare una cosa come quella che sta succedendo da noi.

Non può essere un presidente di Regione o un procuratore a
decidere se la valutazione di mantenere o no un impianto sia
sottoposta a un’analisi di rischio sanitario. Lo deve
decidere con una legge il Parlamento italiano. Se decide di
farlo, vorrà dire che in Italia non si potrà più tenere
aperto alcun impianto industriale di base: chiuderebbero
tutte le centrali elettriche, tutti i cementifici, perfino
le tangenziali. (Public Policy)

(foto: Flickr CC)