di Gaetano Veninata
ROMA (Public Policy) – “Bisognerebbe arrivare a un sistema d’asilo unico, in cui in cui la persona abbia la possibilità di chiedere asilo non tanto all’Italia o alla Svezia, ma direttamente all’Unione europea, con la possibilità di viaggiare e cercare lavoro dove meglio crede”. Un obiettivo “logico”, secondo Gabriele Del Grande, scrittore e fondatore del blog Fortress Europe, che dal 2006 raccoglie le cifre (spesso conta i morti) del fenomeno migratorio che interessa il Mediterraneo ma non solo.
“20mila morti accertati lungo le varie frontiere europee – dice a Public Policy – dal 1988. Questo significa che il dato reale è molto più alto, perchè nessuno è in grado di sapere quanti siano i naufragi (e sicuramente sono tanti) di cui non si è mai avuta notizia. In tempi di pace il Mediterraneo è diventata una grande fossa comune, sono i caduti di una guerra mai dichiarata”.
A disciplinare la gestione dei richiedenti asilo, in Europa, è il regolamento Dublino II, adottato nel 2003 in sostituzione della Convenzione di Dublino. Si tratta del regolamento che determina lo Stato membro dell’Unione europea competente ad esaminare una domanda di asilo o il riconoscimento dello status di rifugiato. Tra le critiche maggiori nei confronti di questo regolamento, il fatto che lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo dev’essere lo Stato in cui il richiedente asilo ha messo piede per la prima volta.
D. SECONDO LEI È POSSIBILE NEL CORSO DEL SEMESTRE UE DI PRESIDENZA ITALIANA PENSARE DI RIFORMARE, O QUANTOMENO APRIRE UN DIBATTITO, SUL REGOLAMENTO DI DUBLINO?
R. Con il Parlamento uscito dalle ultime elezioni, dubito che assisteremo a delle riforme importanti e io per riforme importanti intendo una riforma della mobilità. Se vogliamo smettere di contare i morti, dobbiamo avere il coraggio di fare quello che si è già fatto con la semplificazione delle regole sui visti. Ormai tutta l’Europa dell’Est viaggia in libera circolazione, addirittura in Albania, da dove si arrivava con i barconi negli anni Novanta, ormai da 4-5 anni si viaggia senza più bisogno di alcun visto. Anche il Sudamerica in buona parte ha visto l’abolizione del visto Schengen.
Buona parte dei Paesi del mondo vive in un regime di circolazione molto semplificato. Non si capisce perchè non si riesce a fare lo stesso verso i Paesi africani e arabi. Lo dico perchè la risposta militare, in venti anni, non ha funzionato, anzi l’unico risultato è stato aumentare il numero di morti. Ha costretto la gente a imbarcarsi via via su rotte più lunghe, più complicate, più difficili. L’esperimento fatto con l’Est Europa dimostra il contrario.
La verità è che con i Paesi del Nord Africa c’è proprio un problema culturale, noi viviamo ancora nel racconto dell’invasione, ci sentiamo circondati da miliardi di straccioni e non ci rendiamo conto che ormai sono più gli emigrati che se ne vanno dall’Italia che quelli che arrivano, perchè tutti sanno che siamo un Paese in crisi che non offre grandi possibilità a nessuno.
D. QUAL È IL SUO GIUDIZIO SU MARE NOSTRUM?
R. Per il momento, viste le regole d’ingaggio e la situazione d’emergenza, il mio giudizio non può che essere positivo, nel senso che rispetto a un anno fa la presenza in mare delle nostre unità militari sicuramente ha evitato il ripetersi di tantissime tragedie. Se pensate che di fronte a 60mila persone arrivate da gennaio ad oggi, parliamo di un centinaio di morti in tutto, sono numeri molto bassi rispetto ad esempio al 2011, quando in conseguenza della guerra in Libia arrivarono più di 50mila persone e ne morirono oltre 2mila.
Ma Mare Nostrum non è una soluzione: è una risposta emergenziale che serve a limitare i morti in mare – una cosa che ovviamente fa onore a tutto il Paese, bisogna esserne fieri – ma la soluzione è rispondere alla domanda sul come far sì che quelle persone viaggino in un altro modo invece di salire su un barcone.
D. RENZI PARLA DI INSERIRE MARE NOSTRUM NELLA DINAMICA DI FRONTEX
R. Bisogna capire quali sono le regole d’ingaggio. Frontex tendenzialmente fa un intervento più repressivo. Se l’obiettivo di Mare Nostrum rimane il salvataggio in mare ben venga una partecipazione maggiore dell’Europa; se invece deve diventare invece la copertura per fare di nuovo respingimenti, credo si vada in una direzione sbagliata.
D. È IPOTIZZABILE UN ESAME DELLE RICHIESTE D’ASILO NEI PAESI DI PARTENZA?
R. È un’ipotesi, ma bisognerebbe fare un ragionamento più complesso, sull’accesso alla mobilità. Prendiamo la Siria, ad esempio, il caso più lampante e drammatico: ha prodotto 12 milioni tra rifugiati e sfollati interni, la maggior parte ha chiesto asilo o trovato rifugio nei Paesi confinanti, Libano, Giordania, Turchia. È chiaro che la maggior parte dei rifugiati si ferma lì, poi c’è una percentuale – che per quanto riguarda l’Europa è dell’1%, visto che lo scorso anno 135mila siriani hanno chiesto asilo – che arriva in Europa in modo illegale, o con gli sbarchi a Lampedusa, o in Grecia o in Bulgaria.
Ecco, ci sono mille modi per entrare, bisognerebbe trovare il modo, ancora una volta, di fare in modo che quell’1% di rifugiati dalla guerra siriana che vogliono venire in Europa a chiedere asilo lo possano fare viaggiando, in aereo, recandosi nelle nostre ambasciate direttamente nei posti dove si trovano. Dobbiamo insomma prevedere nelle ambasciate dei meccanismi speciali per casi speciali. È assurdo che un cittadino siriano debba rischiare la vita in mare per arrivare in Europa, dovrebbe avere una corsia preferenziale dentro le ambasciate di qualsiasi Paese del mondo, in particolare di quelli europei che tanto di riempiono la bocca di retorica sul diritto di asilo e sui diritti umani. (Public Policy)
@VillaTelesio