ROMA (Public Policy) – La finestra temporale per consentire alla nuova Commissione europea di entrare in carica il mese prossimo è aperta, ma il puzzle dovrà comporsi senza il minimo intoppo, altrimenti si rischia di rimandare tutto al 2020.
Utile ricordare che siamo arrivati a questo punto perchè il Parlamento europeo ha bocciato 3 commissari designati durante le audizioni di “valutazione”: si tratta della macronista Sylvie Goulard, scelta per il portafoglio dell’Industria e del mercato interno, del popolare ungherese Laszlo Trocsanyi (designato per il Vicinato e l’allargamento) e della socialista romena Rovana Plumb (nominata ai Trasporti). Decisamente clamorosa la bocciatura di Goulard, che ha mandato su tutte le furie l’Eliseo e rischiato di innescare una crisi politica a Bruxelles, mentre i candidati di Ungheria e Romania sono stati respinti ab origine dalla commissione Giuridica (la cosiddetta ‘Juri’), non facendo proprio svolgere le rispettive audizioni.
I tre nuovi candidati – con le medesime deleghe dei respinti – sono Thierry Breton per la Francia, Oliver Varhelyi per l’Ungheria e Adina Valean per la Romania.
La commissione Juri ha approvato il 12 novembre le nomine: le designazioni Várhelyi e Vălean sono state approvate all’unanimità, mentre Breton è passato con un solo voto di scarto (12 contro 11). Il via libera consente lo svolgimento delle audizioni di valutazione dei candidati – in programma tutte giovedì 14 – davanti alle commissioni parlamentari competenti.
Dopodiché, ad esame superato, la Conferenza dei presidenti potrebbe dichiarare la conclusione della procedura (nella riunione del 21/11), consentendo il 27 novembre alla plenaria di esprimere l’atteso voto di conferma sull’intero Collegio dei commissari, che entrerebbe poi effettivamente in carica il mese successivo.
C’è poi anche il nodo del commissario britannico: Londra, che con la Brexit il 31 ottobre aveva deciso di non indicare nessun nome per il nuovo Esecutivo Ue, ha rimandato l’uscita, e Ursula Von der Leyen (nella foto) adesso spinge per avere anche un rappresentante del Regno Unito nel Collegio. Downing Street non freme dalla voglia, e nonostante una richiesta scritta inviata nei giorni scorsi dalla presidente eletta (contenente anche una scadenza molto ravvicinata) ancora non ha fatto un nome. Nelle decisioni del Consiglio europeo del 29 ottobre si menziona comunque l’obbligo di suggerire un candidato commissario britannico.
Ovviamente, per l’uomo (o la donna) di Boris sarebbe necessario individuare un incarico, che sarà non certo di primo piano, ed espletare l’iter standard, con audizione e valutazione parlamentare. Viceversa, se Londra decidesse di non fare un nome, potrebbe servire un atto formale del Consiglio Ue a livello di ambasciatori (il Coreper): con decisione unanime potrebbe certificare che Londra ha diritto a rinunciare alla nomina, evitando quindi ulteriori ritardi per l’insediamento della nuova Commissione. (Public Policy) PAM