L.elettorale, D’Alimonte: Napolitano bocciò l’accordo sul modello spagnolo

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ROMA (Public Policy) – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano espresse un giudizio fortemente contrario verso il meccanismo di voto spagnolo su cui Matteo Renzi e Silvio Berlusconi avevano raggiunto un accordo. Lo rivela Roberto D’Alimonte, politologo delle Università Luiss di Roma e “Cesare Alfieri” di Firenze nonché artefice del testo di legge elettorale all’esame dell’Aula di Montecitorio. Nel corso del convegno “L’Italicum. Dall’accordo politico al progetto di legge”, promosso all’Istituto Luigi Sturzo di Roma, lo studioso svolge una meticolosa e puntuale ricostruzione storica della genesi della riforma.

Ricordando come la collaborazione con Renzi si sia concentrata nella fase iniziale del progetto prima di divenire episodica e frammentata quando esso è arrivato alla Camera, l’editorialista del Sole 24 Ore spiega che nel mese di gennaio il segretario del Partito democratico e il leader di Forza Italia avevano trovato un’intesa su una riforma elettorale di stampo spagnolo: proporzionale con elevata capacità selettiva e con effetti potenzialmente bipartitici grazie a collegi plurinominali molto ridotti, al riparto dei seggi su base territoriale con assenza di recupero nazionale dei voti, a soglie si sbarramento implicite assai elevate. Con l’aggiunta di un premio di governabilità.

L’intesa, rimarca lo scienziato politico, provocò un’immediata reazione negativa da parte delle forze medio-piccole penalizzate dalle regole in vigore a Madrid, e dell’ex capo del governo Enrico Letta timoroso delle ripercussioni negative sulla tenuta del proprio esecutivo per le critiche e defezioni di Nuovo centrodestra, Scelta civica e Per l’Italia. A farsi portavoce di tali obiezioni sarebbe stato, secondo la ricostruzione, lo stesso capo dello Stato, il quale riteneva il meccanismo iberico “troppo maggioritario e distorsivo della rappresentanza”.

Così si giunse all’elaborazione di un modello ben diverso, che ha spostato il calcolo dei voti e il riparto dei seggi dal piano territoriale a quello nazionale, in una logica molto più affine al sistema elettorale tedesco o italiano nella versione della Prima Repubblica. La gestazione dell’Italicum è stata molto laboriosa. La versione originaria, rimarca lo studioso, prevedeva una soglia minima del 33% dei suffragi per far scattare un premio di maggioranza equivalente al 20% degli scranni parlamentari. Bonus poi sceso al 18 e quindi al 15%, mentre il livello di voti necessari per conquistarlo è salito al 37.

Fino ad allora non era stata discussa nessuna ipotesi di ballottaggio. Nel caso di mancato raggiungimento del quorum, veniva lasciato in vigore il meccanismo proporzionale quasi puro scaturito dal verdetto della Corte costituzionale.nFu nel corso dell’incontro al Nazareno del 18 gennaio che Renzi chiese al Cavaliere l’introduzione del ballottaggio, non ottenendo risposta “poiché il tema doveva essere esaminato accuratamente da Denis Verdini, autentico deus ex machina della riforma”.

E per questo motivo l’attuale premier non ne fece cenno nella conferenza stampa serale. Soltanto il 20 gennaio, con l’ok del parlamentare toscano, la riserva fu sciolta con l’accettazione del doppio turno da parte del fondatore di Forza Italia in cambio di una soglia relativamente bassa di suffragi per evitarlo. Un via libera, precisa il politologo, concesso da Berlusconi nella convinzione di poter vincere al primo turno. (Public Policy)

EDP