di David Allegranti
ROMA (Public Policy / Policy Europe) – Tra gli effetti della pandemia c’è la mancanza dei semiconduttori, preziosissimi a costruire auto, console per videogiochi, attrezzature mediche. “La carenza di microchip è particolarmente devastante in questi mesi per l’industria automobilistica, che sta fermando stabilimenti e ridimensionando le attività, subendo una perdita globale di produzione, valutata ormai a più di 60 miliardi di dollari, e registrando anche un freno alla riconversione verso l’auto elettrica. Apple, da parte sua, ha annunciato che la produzione dell’iPhone 12 sta rallentando proprio per carenza di microchip”, ha scritto Luca Balestrieri sul sito di Luiss University Press nell’aprile del 2021. Un anno dopo niente è cambiato. Le Playstation 5 sono introvabili e per ordinare un computer della Apple, con qualche modifica, possono servire tra le sei e le otto settimane. Non parliamo delle auto, i cui prezzi sono aumentati del 13 per cento per quelle nuove e del 40 per cento per quelle usate.
Gli Stati Uniti stanno cercando di ridurre la dipendenza di microchip da Taiwan ma il percorso ha bisogno del suo tempo. In un’intervista al Time, il segretario di Stato al commercio Gina Raimondo ha spiegato che “fondamentalmente, abbiamo bisogno di produrre più chip. Il presidente Biden è stato molto chiaro nel discorso per lo Stato dell’Unione”. Biden ha detto che gli Stati Uniti devono produrre da soli più semiconduttori e più auto e ha ricordato che la Intel, compagnia che ha aiutato a realizzare la Silicon Valley, sta per costruire uno spazio per semiconduttori da venti miliardi di dollari. “L’industria dei semiconduttori – ha aggiunto Raimondo – è stata inventata in Usa. Un tempo, non tanto tempo fa, quasi il 40 per cento dei chip di tutto il mondo era fatto negli Stati Uniti. Oggi soltanto il 12 per cento, il che significa che siamo estremamente dipendenti dagli altri Paesi per i nostri microchip”. Per questo l’amministrazione Biden ha lanciato il CHIPS Act che permette di incentivare le società a costruire industrie per fare più semiconduttori negli Stati Uniti.
Anche l’Unione europea ha intenzione di guadagnare maggiore indipendenza sui semiconduttori, grazie a una legge. Ma qual è lo stato di salute dell’Europa sui microchip? “L’Europa presenta molti punti di forza nella catena del valore dei semiconduttori, ma anche alcuni punti deboli. Il settore dei semiconduttori è caratterizzato da un’intensa attività di R&S, con imprese di punta che reinvestono oltre il 15% delle loro entrate nella ricerca sulle tecnologie di prossima generazione”, dice un documento della Commissione europea. “L’Ue è sede di organizzazioni di ricerca e tecnologia leader a livello mondiale come pure di numerosi istituti di ricerca e università di eccellenza, che sono all’avanguardia delle tecniche per la produzione di alcuni dei chip più avanzati al mondo”. L’Europa “è inoltre in una posizione ottimale per quanto riguarda i materiali e le attrezzature necessari per il funzionamento di grandi impianti di produzione di chip e molte delle sue imprese svolgono un ruolo essenziale lungo l’intera catena di approvvigionamento.
Nonostante questi punti di forza, l’Europa detiene una quota inferiore al 10% sul mercato globale dei semiconduttori e dipende fortemente dai fornitori dei Paesi terzi. In caso di gravi perturbazioni della catena di approvvigionamento globale, le riserve di chip europee in alcuni settori industriali (ad es. nel settore automobilistico o in quello dei dispositivi sanitari) potrebbero esaurirsi in qualche settimana, paralizzando molte industrie europee”. Con l’iniziativa Chips for Europe, fra le altre cose, saranno raccolti 11 miliardi di euro di investimenti pubblici dell’Unione e degli Stati membri fino al 2030. L’iniziativa “mobiliterà ingenti investimenti privati (altre attività di finanziamento attraverso un nuovo fondo Ue per i chip contribuiranno al capitale proprio delle start-up e delle scale-up del settore, per un valore complessivo previsto di 2 miliardi di euro)”.
La pandemia tuttavia non è l’unico problema destinato ad aggravare la crisi dei semiconduttori. C’è anche la guerra. L’Ucraina è tra i maggiori produttori di neon, sostanza essenziale per la produzione di semiconduttori. Secondo Reuters, tra il 45 e il 54 per cento dell’approvvigionamento mondiale di neon viene da due compagnie ucraine, Ingas e Cryoin. Queste compagnie hanno chiuso, stando a Reuters, appena i russi hanno iniziato ad attaccare l’Ucraina. Prima dell’invasione, Ingas produceva tra i 15 mila e i 20 mila metri cubi di neon al mese per clienti in Taiwan, Corea, Cina, Stati Uniti e Germania, e il 75 per cento di questi servivano per l’industria dei semiconduttori. La società ha il suo quartier generale a Mariupol, che è stata colpita dai bombardamenti delle forze russe. Cryoin produceva invece tra i 10 mila e i 15mila metri cubi di neon al mese ed è situata in Odessa. Ha fermato i lavori il 24 febbraio scorso quando l’invasione è iniziata. La crisi dei semiconduttori è insomma destinata a non risolversi facilmente.
Secondo il Fondo monetario internazionale, “nell’Eurozona la chiusura delle fabbriche e la carenza di componenti industriali come i chip elettronici – essenziali per molti settori dell’economia – potrebbero continuare anche il prossimo anno”, hanno scritto il direttore dell’Fmi Kristalina Georgieva, il direttore del dipartimento Europa Alfred Kammer e il vice Oya Celasun. La scarsità di chip è costata il 2 per cento del Pil nel 2021 alla zona euro: “L’equivalente di circa un anno di crescita in tempi normali, prima della pandemia, per molte economie europee” ha detto Georgieva. (Public Policy / Policy Europe)
@davidallegranti