La riforma della giustizia non è un pranzo di gala

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – La riforma della giustizia – materia irrisolta, controversa, foriera di divisioni e scontri fra politica e magistratura – non è mai stata e non sarà un pranzo di gala. Il ministro Carlo Nordio aveva già ricevuto molte critiche dall’Anm prima dell’ultima densa settimana di avvenimenti extraparlamentari, fra il caso Santanchè e il caso Delmastro. Ma adesso che il duello è salito di un tono – anche due, diciamo – sarà difficoltoso per il Governo muoversi con agilità, anche perché l’Associazione nazionale magistrati ha reagito con durezza alle accuse di strumentalità, mosse dai partiti della maggioranza, per le vicende che coinvolgono la ministra del Turismo e il sottosegretario alla Giustizia. “La magistratura non ha alcuna voglia di alimentare lo scontro, ma quando il livello dello scontro si alza, il nostro silenzio sarebbe l’impacciato mutismo di chi non sa reagire con fermezza a una politica muscolare rivolta a un’istituzione di garanzia. Sarebbe un arretramento e noi non arretriamo quando si tratta di difendere i valori della Costituzione”, ha detto il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, rispondendo al Governo.

“Il centrodestra non ha idea, né convenienza, né voglia di aprire uno scontro politico-istituzionale con la magistratura”, ha detto il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Tommaso Foti in un’intervista a La Stampa: “Ma c’è un punto che va chiarito: abbiamo approvato un programma, votato dagli italiani, dove c’è la riforma della giustizia. E la faremo”. La giustizia è da sempre oggetto di scontro politico, e la contesa di questi giorni non può che ricordare i tempi di Berlusconi, anche se giova ricordare che nel duello fra garantisti e giustizialisti Fratelli d’Italia si è sempre tenuta a distanza dai liberali del gruppo. Comunque, dice Foti, “è questo che vogliamo evitare e non si capisce perché si debbano utilizzare parole ed espressioni che hanno un unico fine, quello di esacerbare gli animi. Si può anche non essere d’accordo, ma nella ripartizione dei poteri c’è qualcuno che le riforme le fa e qualcuno che le applica. Non è mica un reato presentare una riforma della giustizia in Parlamento”.

L’osservazione di Foti è politicamente pertinente. Bisognerebbe però separare alcuni piani del duello. Presentare una riforma della giustizia al Parlamento è un conto, ritenersi sotto costante attacco – come se ci fosse accanimento o persecuzione – per le vicende Santanchè e Delmastro è un altro conto. La ministra del Turismo deve rispondere, nelle vesti di imprenditrice, delle accuse di mancato pagamento delle liquidazioni ai suoi ex dipendenti, soldi che forse per Santanchè non vogliono dire molto ma per i suoi vecchi lavoratori sì. C’è penalmente di molto peggio, naturalmente, ma la politica non è fatta di attese delle decisioni degli inquirenti o della magistratura, c’è anche una capacità di gestire politicamente una vicenda che rischia di creare forte imbarazzo al governo. Il caso Delmastro è già diverso dal punto di vista giudiziario. Il gip ha deciso di negare l’archiviazione come richiesto invece dal pm, fatto non frequente, e ha ordinato l’imputazione coatta per il sottosegretario alla giustizia, accusato di aver passato carte riservate sugli interrogatori di Alfredo Cospito al coinquilino e compagno di partito Giovanni Donzelli. C’è un complotto, anche qui? Non sembra. Ancora diversa è la vicenda che coinvolge il figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa, accusato di violenza sessuale. Il fatto c’è o non c’è, la magistratura dirà se la violenza c’è stata oppure no. La Russa, seconda carica dello Stato, avvocato, può credere al figlio, come dice, ma può astenersi dal commentare – peraltro in maniera scomposta – come ha fatto in un primo momento.

Tutte queste vicende non fanno senz’altro bene al Governo, tantomeno alla presidente del Consiglio, che si trova a gestire più fronti. Ma se vuole portare a casa la riforma della giustizia, come osserva un autorevole esponente di questa maggioranza, “o una maggioranza coesa c’è, oppure a ramengo come l’altra volta”. Berlusconi “fu bloccato da Fini, Casini, Follini, Scalfaro, Ciampi…”, dicono ancora dalla maggioranza. Ora però il fondatore del centrodestra non c’è più; c’è tuttavia il rischio del vittimismo politico. Meloni può affrontare ragionevolmente i casi Santanchè e Delmastro, agendo anche di conseguenza. Così può fronteggiare meglio il duello con i magistrati sulla riforma della giustizia, senza minacciare inutili ritorsioni in Consiglio dei ministri. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)