La sfida Meloni-Schlein (e in mezzo i Vannacci)

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Alle prossime elezioni – comunali, regionali, europee – la sfida sarà fra Giorgia Meloni ed Elly Schlein. Senza dimenticare, tuttavia, il ruolo di incursore, alla Vannacci, di Giuseppe Conte, che sembra essere pronto a oscurare la segretaria del Pd. Entrambe sembrano essere pronte a rilanciare alcune battaglie identitarie. Meloni punta sul premierato, che fin qui – va detto – ha trovato anche l’ostilità di non pochi giuristi ed esponenti politici del destra-centro, a partire dal filosofo-senatore di Fratelli d’Italia Marcello Pera. Possibile che la presidente del Consiglio voglia spendere la riforma costituzionale, che ha peraltro soppiantato nella tempistica quella della giustizia, in campagna elettorale.

Schlein invece, come si capisce da quello che è trapelato dalla due giorni di Gubbio – anche se la segretaria ha disertato il primo giorno perché è andata a vedere un film sul disagio mentale, ha spiegato lei – punta su alcuni cavalli di battaglia della sinistra, come lo ius soli, proposta più ampia dello ius scholae che pure aveva trovato consensi dentro il Pd nella passata gestione. Evidentemente, però, non considerato abbastanza coraggioso dall’attuale dirigenza. C’è poi il tema del Medio Oriente. La segretaria del Pd se n’è uscita, a Gubbio, con una sortita che sta facendo discutere i dem. Ha detto che l’Italia deve “evitare l’invio di armi e l’esportazione di armi verso i conflitti, verso il conflitto in Medio Oriente, in particolare in questo caso ad Israele”. Tuttavia, ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, “è dal 7 ottobre che abbiamo deciso di non inviare più armi a Israele quindi non c’è da discutere su questo punto. La decisione è stata presa, lo abbiamo detto in Parlamento”.

Il problema peraltro non è che l’Italia venda armi a Israele, casomai le importi, come ha spiegato Pagella Politica in un articolo dell’ottobre scorso: “Tra il 2013 e il 2022 le aziende italiane hanno venduto a Israele armamenti per un valore pari a quasi 120 milioni di euro: in media circa 12 milioni di euro all’anno, con un andamento altalenante nel tempo. Abbiamo analizzato le relazioni sulle esportazioni e le importazioni di armi, presentate periodicamente in Parlamento, e abbiamo scoperto anche che gli armamenti acquistati dall’Italia, provenienti da Israele, hanno raggiunto una cifra superiore alle vendite, pari a oltre 250 milioni di euro”, scrive Pagella Politica. Le parole di Schlein non sono state accolte con grande entusiasmo dai deputati riuniti a Gubbio. C’è l’impressione, non irrilevante, che il Pd nei prossimi mesi potrebbe aggiustare la linea sulla politica estera (anche sulla guerra in Ucraina) per cercare di attirare l’elettorato che alle primarie ha votato per Schlein un anno fa.

Nell’ultima settimana, complice la bocciatura in Veneto della legge di iniziativa popolare sul fine vita, che serviva a dare tempi certi per il suicidio medicalmente assistito, c’è stato spazio anche per una discussione sulla bioetica e la disciplina di partito. Una consigliera regionale del Pd Veneto, Anna Maria Bigon, si è infatti astenuta, impedendo – insieme a 13 consiglieri regionali leghisti, che hanno votato contro o si sono astenuti – l’approvazione della legge. La decisione è stata criticata da Schlein, che a sua volta però ha fatto agitare i cattolici del Pd – da Graziano Delrio a Lorenzo Guerini – che hanno spiegato perché, su temi eticamente sensibili, non ci può essere il vincolo della disciplina di partito.

Meloni, invece, si trova nelle condizioni di fronteggiare gli avversari ma anche di gestire gli alleati. Se si candida alle Europee rischia di umiliare Forza Italia e Lega, superando la soglia del 30 per cento. Forza Italia spera di superare il 10, così come la Lega. Matteo Salvini è costretto ad affidarsi, forse, al generale Roberto Vannacci, la cui candidatura alle Europee vale il 3 per cento. Il militare sta per pubblicare un nuovo libro, in uscita a marzo. Una autobiografia, addirittura. Che cosa c’entri l’incursore (quello vero) con i principi leghisti in realtà è ancora un mistero.

Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, potrebbe essere una valida alternativa al generale. La scorsa settimana si è reso protagonista di una battaglia assolutamente rispettabile ed è stato trattato con rara scortesia anche dal suo partito. Il consiglio regionale veneto ha appunto bocciato la legge di iniziativa popolare per garantire tempi certi – non più di 27 giorni – a chi chiede il suicidio medicalmente assistito. Facile prendersela con Zaia, ma non è lui lo sconfitto. Il segretario della Lega Matteo Salvini, per non farsi mancare niente, ci ha infatti tenuto a spiegare che la sua posizione “è assolutamente chiara: la vita va tutelata dalla culla alla fine”, quindi anche lui avrebbe votato no se fosse stato in consiglio. Non capendo, tuttavia, di che cosa si stava parlando.

È stato lo stesso Zaia, via Corriere della Sera, a spiegarlo a lui e agli altri distratti: “Tutte le posizioni sono rispettabili e le rispetto fino in fondo. Trovo però ipocrita da parte di qualcuno far finta che non esista nemmeno la sentenza della Consulta che autorizza il fine vita”, ha detto il presidente della Regione Veneto, il cui destino politico è legato all’eventuale modifica della legge che, nel 2025, gli consentirebbe di fare un nuovo mandato. Qualcuno però, ha spiegato ancora Zaia, “ha voluto far passare il messaggio, scorretto oltre che sbagliato, che la legge autorizzasse il fine vita. Ma non è  così. Questa possibilità esiste già in forza di una sentenza della Corte costituzionale del 2019. Puntava a regolare modalità e tempi. Dovevamo votare su un tema etico, non politico”. Ma la campagna elettorale per le Europee produce facile confusione. (Public Policy)

@davidallegranti