Le crepe italiane nel fronte occidentale // Nota politica

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Le crepe nel fronte occidentale italiano antiputiniano sono numerose. Quelle televisive, specie di certi talk show, sono diventate pure oggetto di studio per i giornali stranieri. Come Le Monde, che ha dedicato un servizio alla propaganda filo russa che va in onda sulle nostre televisioni. Un fatto che all’estero colpisce, perché non abituati a casa loro – giornalisti e media – a vedere tanto spazio dedicato al racconto putinista. Ora vanno ad aggiungersi le crepe di Matteo Salvini. Il capo della Lega è in versione nannimorettiana, non sa come farsi notare di più e se andare in Russia per una presunta missione diplomatica.

Una missione di cui tutti – Mario Draghi, Sergio Mattarella – sono stati all’oscuro almeno fino a quando la notizia non è trapelata sui giornali. Il risultato è che il segretario leghista adesso non sa come gestire l’imbarazzo: va in Russia a parlare per conto di chi, visto che non ha l’avallo di nessuno? E a che titolo lo fa, visto che non è nemmeno parte del Governo, ma è un senatore semplice per usare una nota espressione di falsa modesta renziana? Le domande, anche quelle più maliziose, si sprecano, ma il punto resta, a prescindere dal fatto che Salvini poi effettivamente voli o meno in Russia: da che parte sta la Lega? I suoi non sono i legittimi dubbi di chi è corroso dalle motivazioni morali sulla guerra, ma le ambiguità di chi ha avuto troppo a che fare con la Russia – anche solo per motivi ideologici, seppur non sovietici – per poter resistere alle sirene e alle minacce del putinismo.

Non sembra avere più idee, Matteo Salvini, che si lancia al quotidiano inseguimento di Giorgia Meloni. Un po’ come un tempo aveva fatto il Pd con il M5s, Salvini mostra la sua subalternità culturale alla leader di Fratelli d’Italia. La quale mostra una maggiore e apparente solidità rispetto al collega leghista. Con una comunicazione più sorvegliata e meno sguaiata e con una posizione atlantista che resiste di fronte alla guerra in Ucraina. Meloni rispetto a Salvini sembra avere meno spazio per l’ambiguità. Magari è solo una posizione utilitaristica per distinguersi dall’alleato-avversario, ma quel che conta è il risultato. Anche in vista delle elezioni politiche del 2023.

Dopo l’emergenza sanitaria, sarà la guerra a fare da cartina di tornasole. A far capire chi sta da una parte e chi da un’altra. Meloni – con cui si può senz’altro non concordare – sembra aver individuato una identità precisa. Per questo nelle settimane scorse, parlando con Il Dubbio, il filosofo Marcello Pera aveva detto di voler capire “come le idee di Meloni possano inserirsi in una realtà liberal- conservatrice. Su questo, la leader di Fratelli d’Italia sfida il suo stesso partito ma anche gli alleati, volendosi accreditare a tutti gli effetti come partito di governo”. Un partito conservatore in Italia non è mai esistito, contrariamente a Regno Unito e Stati Uniti. Il tentativo di Giorgia Meloni è quello di colmare questo vuoto o, anzi, di creare un mercato nuovo. Le incertezze e le fragilità degli alleati potrebbero aiutarla. Come testimonia il caso della possibile visita di Salvini in Russia. “Non bisogna dare segnali di crepe nel fronte”, ha invece detto Meloni a Bruno Vespa: “Abbiamo bisogno di una postura solida dell’Occidente”. (Public Policy)

@davidallegranti