Le tre fragilità finanziarie che impediscono la lotta all’inflazione

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di Pietro Monsurrò

ROMA (Public Policy) – Giorni fa l’Istituto Bruno Leoni ha presentato a Roma la traduzione di “Storia Monetaria degli Stati Uniti” di Milton Friedman e Anna Schwartz. Dopo una grave crisi finanziaria, e nel bel mezzo di una crisi inflazionistica, è urgente discutere dei problemi delle politiche monetarie degli ultimi due o tre decenni.

L’inflazione è alta in tutti i Paesi occidentali: in parte per le politiche fiscali espansionistiche che aumentano la domanda; in parte per un decennio di acquisti su larga scala degli asset finanziari per assicurare liquidità a basso costo a Governi e banche; in parte per la crisi energetica, provocata dalla fuga dal nucleare, dal disinvestimento in idrocarburi e dalla guerra in Ucraina; in parte, infine, è l’effetto della “deglobalizzazione”, la fuga dalla Cina delle catene del valore. I fattori che hanno garantito inflazione bassa nonostante le politiche monetarie espansive sono saltati: cosa fare ora? 

Sebbene le cause dell’inflazione siano molteplici, la risposta di policy non può che essere aumentare i tassi di interesse a cui le banche centrali “comprano” (in realtà, “affittano”: se le comprassero sarebbe monetizzazione) attività finanziarie. E qui veniamo ai tre ostacoli per la lotta all’inflazione.

Sin dalla nascita l’euro ha annullato gli spread tra periferia e Germania, incentivando aumenti della spesa primaria (i “dividendi dell’euro”), e bolle speculative immobiliari e finanziarie. Successivamente, il quantitative easing e il “whatever it takes” hanno esplicitato l’azzardo morale: i Paesi troppo indebitati e senza prospettive di crescita (in primis l’Italia) hanno bisogno di trasferimenti, garanzie, e liquidità assicurati dai Paesi meno malmessi. Se la Bce combattesse seriamente l’inflazione, rischierebbe di perdere l’Italia. Gran parte degli Stati occidentali è indebitata a livelli incompatibili con la stabilità finanziaria, e necessitano di tassi bassi per evitare crisi finanziarie: il Regno Unito, con la manovra keynesiana di Liz Truss, è lì a dimostrarlo.

In tutto il mondo occidentale c’è un secondo problema: ciò che l’euro ha fatto agli Stati membri, incentivandone l’irresponsabilità e la miopia, le banche centrali hanno fatto alle banche e ai mercati finanziari. Un aumento dei tassi potrebbe far crollare le quotazioni di azioni, obbligazioni e immobili, danneggiando banche e altre società finanziarie, altamente indebitate, con scarse riserve liquide, e con elevata leva finanziaria. La finanza ormai da trent’anni campa di azzardo morale, e sebbene la leva sia scesa dopo la crisi dei subprime e dell’eurozona dieci anni fa, rimane potenzialmente fragile.

Il terzo problema, più grave nel mondo anglosassone perché più orientato ai mercati azionari, è tollerare perdite finanziarie notevoli senza far saltare i fondi pensione che gestiscono i risparmi di decine di milioni di persone, che rischiano di non poter andare in pensione. L’intervento della Bank of England a favore dei fondi pensione, dopo il panico prodotto dalla manovra a debito della Truss, spiega l’urgenza di questo problema.

Per ora gli Stati Uniti hanno fatto un po’ di più per contrastare l’inflazione, alzando i tassi di interesse. Ciò ha provocato un afflusso di capitali verso gli Usa e un rafforzamento del dollaro rispetto a sterlina ed euro (con la sterlina di recente ulteriormente danneggiata dalle manovre della Truss). La componente dell’inflazione prodotta dalla crisi energetica si potrà risolvere investendo in nucleare e idrocarburi, politica permettendo. La componente fiscale si potrà combattere riducendo i deficit pubblici, sempre politica permettendo. Ma i tre problemi rimangono: abbiamo Stati, banche e fondi pensione dipendenti dalla droga del credito facile, e questo azzardo morale produce inefficienza e instabilità economiche, danneggia la crescita, e – con l’inflazione – riduce il potere d’acquisto dei cittadini.

Come negli anni ’70, non è più il momento di Keynes. Oggi serve serietà fiscale e monetaria. La politica sarà all’altezza? (Public Policy)

@pietrom79