(Public Policy) – Roma, 26 mar – (di Aroldo Barbieri) “Siamo
vicinissimi alla fine” ha detto il presidente di Confindustria,
Giorgio Squinzi, al presidente del Consiglio incaricato
Pier Luigi Bersani. “Le imprese sono al collasso”
secondo Carlo Sangalli, presidente di R.ete. Imprese Italia,
che ha parlato durante le consultazioni col segretario del
Pd. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, non
si capacita come in un momento come questo prevalgano le
convenienze di bottega sul bene comune, che vorrebbe un
Governo in tempi brevi, perché “non c’è più tempo né
ossigeno, serve un Governo stabile contro la crisi” per
usare le parole di Squinzi.
Allarme gratuito? Interesse di bottega su altro interesse
di bottega? Il pericolo vero è che ci sia assuefazione,
rassegnazione alla chiusura delle aziende, ai licenziamenti,
al crollo dell’economia e del benessere che ha
contrassegnato l’Italia negli ultimi decenni, prodromo a
gravi difficoltà per la società e la democrazia.
Che l’Italia sia messa molto male e che non si veda luce
alla fine del tunnel è oramai chiaro quasi a tutti, ma manca
la voglia e la forza di cambiare rotta. Di anno in anno la
ripresa è rimessa a quello successivo. Confcomercio ha
quantificato nell’1,7% la discesa del Pil nel 2013,
considerato solo un anno fa l’anno della svolta. La Banca
d’Italia mette in guardia: se continueranno le dispute
politiche, c’è il rischio che l’Italia non colga la ripresa
internazionale, prevista per fine anno.
L’Europa certo non aiuta, anzi. Solo la cancelliera Merkel
si è detta “soddisfatta” per la soluzione della crisi di
Cipro, mentre più cautamente il presidente del Consiglio
europeo Van Rompuy e il presidente della Commissione, Jose
Manuel Barroso, si sono detti preoccupati per i sacrifici
che gli abitanti dell’isola dovranno affrontare.
L’ultimo arrivato (non solo in termini cronologici, ma per
la rapidità della carriera su imput della Germania), il
presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem,
ha prospettato per risolvere i problemi del debito dei Paesi
mediterranei il coinvolgimento delle banche e il prelievo
forzoso a carico dei risparmiatori privati, insomma lo
stesso trattamento riservato alla Grecia e a Cipro.
Il parere di Dijsselbloem, insieme a “voci” su un declassamento
da parte di Mooody’s del debito italiano, si è abbattuto ieri
sulle borse, che hanno virato tutte in negativo. Piazza Affari
peggiore di Madrid, il che testimonia che il problema vero
dell’Italia è appunto il debito, cumulato in anni e anni di
comportamento da cicale, non il deficit corrente, che vede un
forte attivo corrente, a meno del costo degli interessi sul debito.
Si tratta dell’ultimo atto di una politica, speriamo non
volutamente, sbagliata, che ha imposto un rientro
eccessivamente rapido dai deficit dei bilanci pubblici,
mentre gli Usa, che sono stati i primi responsabili della
crisi, hanno scelto la via del rientro graduale, con il
risultato che non solo la borsa è andata su, ma che anche
l’immobiliare ha ripreso a camminare e che le banche
statunitensi sono tornate a macinare utili.
E questo nonostante il debito americano sia tutt’altro che
inferiore rispetto a quello degli Stati europei. Ma si dirà
che l’Europa dell’euro non è l’America del dollaro. E
proprio qui sta il vero punto, tanto che se oggi si
effettuassero i referendum sull’euro, probabilmente ci
sarebbe una vera e propria fuga da Bruxelles e un ritorno
alle monete nazionali.
La miscela di incoerenze nell’assetto dell’Unione e
l’interpretazione che la Germania impone ai partner è
implosiva per tutti. Il presidente della Bundesbank ha detto
che il debito italiano è insostenibile nel medio
termine. Ha ragione: senza una ripresa produttiva il debito
italiano non è riassorbibile, ma come ci si fa a riprendere
con queste torchiature, in un momento in cui tutta
l’economia dei Paesi avanzati è debole? L’export si dice è
la strada giusta. È vero, ma non basta da solo, senza
domanda interna, a sostenere il Paese.
Bisogna invertire la rotta. Ma sappiamo che fino alle
elezioni tedesche del 22 settembre difficilmente avverrà
qualcosa di significativo nella giusta direzione. Intanto il
presidente Obama ha fatto riavvicinare Israele e Turchia.
Gli Usa guardano alla crisi della Siria, ma anche e più ai
ricchi giacimenti di gas che si trovano a sud di Cipro. Il
loro sfruttamento non sarebbe possibile (la cosa interessa
moltissimo a Israele) senza l’accordo con la
Turchia, che esercita un protettorato sulla parte nord
dell’isola. Questa è politica, non il moralismo
un po’ interessato di Angela Merkel. (Public Policy)
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