L’effetto Todde alla prova del voto in Abruzzo (e non solo)

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – La settimana (post) elettorale in Sardegna si è appena conclusa, con non poche tensioni visto che la destra potrebbe richiedere il riconteggio, e un’altra sta per arrivare. Domenica prossima, il 10 marzo, si vota in Abruzzo, altra Regione attualmente governata dalla coalizione di destra-centro. A differenza della Regione Sardegna, dove il presidente sardo-leghista Christian Solinas è stato sostituito per lasciare il posto al sindaco di Cagliari Paolo Truzzu (sconfitto da Alessandra Todde), il presidente uscente Marco Marsilio di Fratelli d’Italia è di nuovo candidato.

A sfidarlo ci sarà Luciano D’Amico, professore ordinario di economia aziendale all’Università degli Studi di Teramo, di cui è stato anche rettore. Il professor D’Amico è sostenuto dal “Patto per l’Abruzzo”, campo ultra largo che tiene eccezionalmente insieme Pd, M5s, Azione e Italia viva. L’ex Terzo polo alleato dei 5 stelle è senz’altro un’anomalia, anche se Carlo Calenda, leader di Azione, ha detto nei giorni scorsi che, dopo il risultato elettorale in Sardegna, il suo partito non andrà mai più da solo e che con Giuseppe Conte bisogna parlarci. “Alle Regionali correre da soli, pur con un progetto come è successo in Sardegna e in Lombardia con Letizia Moratti, non è fattibile e non lo faremo più. Perché per un candidato terzo sono improponibili”, ha detto il leader di Azione in un’intervista a Huffington Post: “Anche per questo in Abruzzo siamo all’interno di una coalizione larga, con un candidato di grande competenza, per il quale ci stiamo spendendo molto. Stiamo facendo un ragionamento anche in Basilicata, solo che lì non si capisce niente”. Una autentica rivoluzione dopo anni passati a descrivere il M5s come un partito di “scappati di casa”.

Da destra, Marsilio invita alla calma, spiega che non c’è correlazione fra la Sardegna e l’Abruzzo, ma nel Pd l’entusiasmo è incontenibile. L’effetto Alessandra Todde viene avvistato ovunque. Per questo il partito di Elly Schlein vorrebbe ripetere l’alleanza anche in Basilicata alle elezioni regionali del 21 e 22 aprile. Certo, in quest’ultimo caso ci sono molti problemi. Il Pd dovrebbe rinunciare alla candidatura dell’imprenditore Angelo Chiorazzo, fortemente voluto dall’ex ministro della Sanità Roberto Speranza, ma sgradito al resto della possibile coalizione. Sabato scorso, il 2 marzo, era stata convocata la direzione regionale del Pd della Basilicata, che avrebbe dovuto trovare una soluzione, alla presenza del responsabile nazionale Organizzazione del Pd Igor Taruffi e del responsabile nazionale Enti locali Davide Baruffi, ma la riunione è finita in rissa. Taruffi, durante la discussione, è stato invitato anche a tornarsene a Bologna dai presenti.

La destra lucana invece dovrà evitare di farsi di nuovo del male da sola, in una Regione governata da Vito Bardi, confermato candidato della coalizione dopo i dubbi iniziali di Matteo Salvini, alla ricerca di vendetta per la mancata ricandidatura di Solinas. Anche in Piemonte, dove invece si vota a giugno, il Pd vorrebbe ripetere l’alleanza con il M5s, ma i problemi da quelle parti sono maggiori; la storica inimicizia fra il partito di Schlein e il partito di Conte è così radicata che finora niente ha potuto far avvicinare due partiti che si odiano fin dai tempi in cui, nel 2016, Chiara Appendino strappò la città a Piero Fassino. L’impressione, comunque, è che il Pd sia ben disposto ad allearsi ovunque con i populisti, secondo l’adagio della “casa comune” da costruire con i 5 stelle formulato dall’ex ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, mentre Conte invece è molto più cauto. Ogni elezione fa storia a sé, dice il presidente del M5s. Il rischio, ancora una volta, è che siano i 5 stelle a dettare l’agenda e il Pd a inseguire l’alleato.

L’intesa fra i demo-populisti viene cercata anche nelle città. A Firenze, c’è appena stata una riunione fra Alleanza Verdi Sinistra e i 5 stelle, con l’obiettivo di far sospendere al Pd il dialogo con Italia viva di Matteo Renzi. I dem però hanno preso tempo e non sembrano essere così convinti della necessità di un’alleanza a Firenze, dove a dividere i due partiti ci sono molti temi programmatici. Dall’espansione dell’aeroporto, di cui si parla da trent’anni, all’alta velocità. Il M5s chiede come precondizione per qualsiasi dialogo lo stop alle grandi infrastrutture. Già questo potrebbe essere sufficiente a chiudere qualsiasi discussione, ma da qui a giugno c’è ancora tempo. Certo, prima o poi il Pd fiorentino dovrà scegliere: o con Renzi o con Conte. (Public Policy)

@davidallegranti