ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Potrebbe essere una miniera d’oro e invece è un buco nero. Questa la fotografia dello stato dei beni culturali dell’Italia, settore in cui, in un nefasto parallelismo, Pompei ciclicamente crolla di pari passo con i flussi turistici e il misero Pil che il Belpaese realizza dal suo immenso patrimonio culturale. Di fronte alle numerose emergenze, Dario Franceschini, appena nominato ministro dei Beni culturali, ha autorizzato 46 nuovi interventi di restauro in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, per un valore complessivo di oltre 135 milioni di euro immediatamente spendibili.
Bene, se consapevoli che si tratta solo di un tampone. In Italia, infatti, c’è una costellazione di siti di interesse culturale: quelli più grandi, come Pompei, Villa Adriana o la Reggia di Caserta, ricevono discrete quantità di finanziamenti che usano male o malissimo. I siti medi o piccoli, invece, sono tanti e disseminati a macchia di leopardo, ma spesso devono fare i conti con i centesimi. In ogni caso poi, i Comuni, anche quando hanno quattrini per promuovere il turismo, sono quasi sempre più interessati alle esigenze dei loro elettori che dei turisti.
Bene ha fatto, allora, il neoministro a specificare che quello di viale Trastevere “è il più importante ministero economico del nostro Paese”. Purtroppo praticamente inutilizzato. Basta vedere i dati del settore: in Italia si producono 17 miliardi di euro di Pil per 300mila occupati; in Francia 27 miliardi e 550mila lavoratori; in Germania 35 miliardi e 670mila occupati. Insomma, con un patrimonio culturale decine di volte superiore a quello dei tedeschi realizziamo meno della metà della ricchezza e dei posti di lavoro, pur non essendo nelle condizioni per deprimere la crescita e ignorare la disoccupazione. É evidente, allora, che una volta superate le emergenze è indispensabile cambiare prospettiva e rendere imprenditoriale il settore dei beni culturali.
Come? Facilitando l’ingresso dei privati, la concorrenza, la competizione, il profitto, in modo da promuovere un’offerta turistica strutturata, funzionale e coerente. Il tutto, naturalmente, sotto la vigile regia dello Stato, obbligato a stabilire le condizioni minime che garantiscano la tutela e la fruizione del patrimonio. Perché a rendere imprenditoriale la cultura se ne incentiva anche la diffusione.
Snellire il sistema, liberandolo dalle strette maglie della burocrazia paralizzante e dall’inefficienza monopolistica della pubblica amministrazione, potrebbe intercettare da tutto il mondo turisti pronti a godere delle bellezze del Belpaese, a spendere quattrini, a creare lavoro. Che al posto nostro questa operazione la faccia la Spagna (che ci supera per numero di visitatori) equivale a fare come Nerone con Roma, o il Vesuvio con Pompei, si parva licet. (Public Policy)
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