ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Una volta si diceva che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli. Oggi sono le colpe delle vecchie governance a non dover ricadere sulle nuove. Invece nella tempesta mediatica che si scatena per ogni indagine giudiziaria sono pochi quelli che fanno lo sforzo di dividere il presente dal passato. Ogni volta che la stampa si riferisce a “scandali” avvenuti in questa o quell’azienda, non specificare se chi è coinvolto nelle inchieste sia ancora al timone o se nel frattempo vi sia stato un ricambio nei vertici, non è cosa marginale.
Perché in fondo lo sport nazionale è puntare il dito contro chiunque abbia incarichi apicali, senza mai distinguere fra storie, persone e comportamenti diversi, tra l’altro trasformando ogni avviso di garanzia in una condanna, in barba alla presunzione di innocenza. Gli esempi sono tanti. A Siena si urla contro i ladrocini del Monte Paschi, quando la vecchia dirigenza è da tempo estromessa del tutto dalla banca e la nuova è riuscita nella quasi impossibile impresa di varare un aumento di capitale da 5 miliardi, ripagare il debito con lo Stato e salvare l’istituto. Carige è un altro caso in cui occorre avere chiaro il prima e il dopo.
Sul Mose, un’opera di ingegneria totalmente “Made in Italy” che tutto il mondo ci invidia e che verrà consegnata rispettando costi e tempi stabiliti ad inizio contratto (caso forse più unico che raro in Italia), molti media continuano a confondere le attività delle singole imprese con quelle del consorzio concessionario, proprio mentre la nuova dirigenza si è dichiarata parte lesa. Finendo così col mettere i bastoni tra le ruote al completamento di un’opera che oggi ha ampiamente superato l’80% dei lavori e che proteggerà definitivamente Venezia e la sua laguna dall’acqua alta, un atteggiamento catalogabile come la tipica tendenza di quell’italiano che per fare un dispetto alla moglie.
Non distinguere fra vecchie e nuove gestioni equivarrebbe a mettere alla gogna il prefetto Bruno Ferrante, ultimo presidente dell’Ilva, per quanto fatto o non fatto dalla famiglia Riva nei passati decenni. O come accusare Raffaele Cantone, o bloccare del tutto l’Expo, per le responsabilità personali (ancora tutte da accertare) di qualche faccendiere o imprenditore. Ed è come accusare la Sogin di oggi quando gli attuali vertici, mandando alla magistratura i risultati di una due diligence interna, hanno addirittura anticipato le mosse degli inquirenti.
Poi, anche stando alle intercettazioni giudiziarie pubblicate sui quotidiani, la “cricca degli appalti” aveva in ogni modo tentato di contattare senza alcun successo i nuovi vertici della Sogin, ma questo non sempre emerge con chiarezza. Ma i paragoni sono tanti. Non si possono condannare tutti gli juventini per quanto avvenuto ai tempi delle Triade Moggi-Giraudo-Bettega, come non si può condannare Lotito per i crack finanziari di Cragnotti, non si può. L’elenco è ancora lungo, se non infinito. Possiamo mettere fine anche noi a questo modo di gestire ogni notizia di inchiesta che esce sui giornali e iniziare una nuova gestione? (Public Policy)
@ecisnetto