ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Gli altri si muovono, noi stiamo fermi. Al massimo litighiamo. Mentre la Croazia ha appena ufficializzato l’asta per le trivellazioni nell’Adriatico per la ricerca e l’estrazione dei potenziali 3 miliardi di barili di idrocarburi che vi sono, mentre Francia, Spagna e Malta stanno per muoversi nel resto del Mediterraneo, l’Italia ancora non ha idea di come agire, nonostante la geografia la ponga proprio al centro del “Mare Nostrum”. E questo non per una motivata tutela ambientale, ma per totale assenza di programmazione strategica.
Già dal 2013, infatti, sulla scia del disastro del Golfo del Messico, l’Unione europea ha emanato una direttiva con criteri molto rigorosi per le attività offshore, obbligando le compagnie petrolifere a garantire adeguati piani di emergenza nel caso di fuoriuscite di petrolio. Di certo, tra i tanti problemi che ha l’Europa, quello delle regole lassiste non è tra i principali. In ogni caso, sui due anni disponibili per recepire le regole relative ai nuovi impianti, (mentre gli anni a disposizione per gli impianti già operativi sono cinque) ne è passato uno intero prima che il ministero dello Sviluppo economico istituisse un tavolo tecnico per affrontare il tema.
Di fronte a questo ritardatario ma positivo inizio, nella seduta comune delle Commissioni Attività produttive e Ambiente della Camera si è scatenato il putiferio di richieste per le risoluzioni da presentare al governo. Ne sono arrivate quattro, in cui c’è di tutto. La democratica Maria Stella Bianchi chiede di sospendere ogni autorizzazione in attesa di un “apposita conferenza dei paesi rivieraschi”. Alessandro Zan di Libertà e diritti (ex Sel) propone l’aumento delle aliquote per la produzione di idrocarburi, siano essi estratti in terra o in mare. I pentastellati hanno presentato dieci richieste, che vanno dal divieto assoluto di fratturazione idraulica, alla revisione di tutte le autorizzazioni già rilasciate, fino alla moratoria per ogni nuova attività di coltivazione di idrocarburi in mare o in terraferma.
Insomma, un coacervo di utopici desiderata. Forse le uniche richieste accettabili (maggiori royalties a titolo di compensazione ambientale e maggiore coinvolgimento nel processo decisionale della popolazione sul modello francese delle commissioni di dibattito sulle infrastrutture strategiche) arrivano da Miriam Cominelli, deputata Pd che – guarda caso – ha firmato la sua risoluzione in solitaria. In ogni caso, poiché i 12mila chilometri quadrati di giacimenti si trovano principalmente lungo il confine delle acque territoriali italiane, il divieto di costruire piattaforme all’interno delle 12 miglia renderebbe per l’Italia pressoché impossibile sfruttare questa grande ricchezza, mentre la Croazia potrebbe perseguire il suo obiettivo di diventare “una piccola Norvegia”.
Alla fine il presidente della commissione, Guglielmo Epifani, ha aggiornato la seduta, sperando che in 10 giorni si potesse presentare al governo un testo unico. Siamo alla scadenza e, viste le difficoltà, proponiamo noi una domanda: se la direttiva europea stabilisce sufficienti garanzie ambientali e di sicurezza per tutti i paesi membri, perché siamo i soli che invece di sfruttare la situazione ci complichiamo la vita?(Public Policy)
@ecisnetto