ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – La realizzazione del Deposito Unico per i rifiuti radioattivi è una vicenda tanto lunga quanto complessa che dopo trent’anni sta finalmente giungendo a lieto fine. È assurdo, quindi, che il pelo nell’uovo lo vada a cercare proprio chi non ti aspetti.
Sono mesi che il mio amico Massimo Mucchetti, da presidente della commissione Industria del Senato, sta alzando un polverone sulla Sogin, chiedendo alla nuova dirigenza di spiegare le discrasie rispetto al vecchio piano quadriennale, varato dai precedenti vertici, poi risultati coinvolti in inchieste giudiziarie, rispetto ai quali ha peraltro il merito di aver fatto pulizia. Eppure, il senatore del Pd ed (ex) giornalista Mucchetti dovrebbe conoscere i risultati conseguiti in poco più di un anno dalla nuova dirigenza.
Tra i tanti, il fatto che ai primi di gennaio la Sogin trasmetterà all’Ispra la Carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il Deposito Nazionale, rispettando così i tempi fissati dal decreto 31 del 2010. Inoltre, mentre in questi mesi la X Commissione di Palazzo Madama convocava a più riprese i vertici della Sogin (per fortuna la seduta del 19 dicembre è saltata), in giro per il mondo venivano chiusi importanti affari.
Dopo le otto collaborazioni già attivate in passato, nelle scorse settimane la società italiana per il decommissioning nucleare, infatti, otteneva l’incarico per lo smantellamento della centrale slovacca di Bohunice, per lavori che dovrebbero valere circa 200 milioni di euro. Attraverso la controllata Nucleco, poi, si aggiudicava il bando per lo smantellamento del reattore di ricerca RTS-1 Galileo Galilei.
E, soprattutto, per 45 milioni di dollari vinceva la gara per la bonifica del reattore di Al Tuwaqit, costruito con tecnologia sovietica negli anni Sessanta in Iraq, l’unico sito nucleare mai bombardato al mondo. La realizzazione del Deposito Unico, oltre ad evitare che l’Italia cada nell’ennesima infrazione comunitaria e a ridurre i costi ed aumentare la sicurezza – convogliando in un unico sito i 30mila metri cubi di rifiuti radioattivi conservati “provvisoriamente” in 23 siti sparsi in 11 diverse regioni d’Italia – lancia la Sogin in una promettente attività di mercato.
Nel mondo, infatti, ci sono almeno 140 reattori in chiusura, per un giro d’affari da centinaia di miliardi di euro. Nel passato di errori ne sono stati commessi tanti, ma in questi mesi – dal rispetto delle tempistiche, alla trasparenza dei bilanci, alle prospettive internazionali – il vento è cambiato.
Tanto che è possibile, ora, chiudere un problema che ci portiamo dietro da 30 anni, ed aprire in Italia e all’estero nuove prospettive industriali e occupazionali. Siamo ad un passo dalla meta e non è il caso di lanciarsi in sperticati sofismi che non sono utili a nessuno. Non è quello che ci si aspetta da una firma da prima pagina, anche in politica.(Public Policy)