ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Importare, ma non produrre. Usare, ma senza sviluppare. La Sen, “Strategia energetica nazionale“, continua ad essere per l’Italia una lancinante fonte di delusione. Ieri il ministero dello Sviluppo economico ha ribadito nero su bianco che nel Belpaese non è previsto il rilascio di nemmeno una licenza per la ricerca e lo sfruttamento dello shale gas.
L’Europa, visto il successo avuto da questo tipo di approvvigionamento energetico negli Usa, aveva appena emanato una raccomandazione sulle procedure e le cautele minime che gli stati interessati alla ricerca e allo sfruttamento dello shale gas devono adottare nei confronti dei rischi per la salute e l’ambiente. Ed effettivamente la Polonia sarà quasi certamente la prima ad usare questa nuova fonte energetica in Europa, visto che l’irlandese San Leon Energy (partecipata da George Soros) ha annunciato che dalle esplorazioni nei giacimenti vicino a Danzica potrebbe commercializzare lo shale gas entro il prossimo ottobre. In Gran Bretagna la compagnia IGas potrebbe raggiungere il traguardo nel giro di tre anni.
L’Italia, invece, non ci prova nemmeno. “Il suo sfruttamento non è mai stato preso in considerazione”, dicono dal ministero dello Sviluppo economico, da cui, per non farsi mancare nulla aggiungono prima che “non è previsto dalle normative”, salvo poi dire che “non è conveniente”. Una sentenza definitiva e assoluta, una rinuncia a prescindere, ancor prima che sia mai stato effettuato anche un solo e vero tentativo. Ecco, in Polonia, al risultato ci sono arrivati anche attraverso diversi fallimenti. La ExxonMobil, la Marathon Oil, e anche l’Eni, dopo aver tentato per anni, sono tornati indietro a mani vuote. Però, almeno ci hanno provato. E, soprattutto, le licenze per sviluppare le tecnologie sono state pagate allo stato polacco, che comunque non ha perso nulla.
La nostra strategia, energetica, invece, ha abbandonato il nucleare, ignora lo shale gas, ha creato un pasticcio sulle rinnovabili, ha difficoltà nel costruire le infrastrutture di trasporto e trasformazione come gasdotti e oleodotti, ed è talmente debole da non riuscire nemmeno a far entrare in funzione un termovalorizzatore. Poi non lamentiamoci se le nostre aziende pagano l’energia più che altrove, se la nostra bilancia commerciale è in rosso (proprio perché siamo dipendenti dall’estero), e se la nostra politica estera sia subordinata ai capricci dei paesi produttori e dei loro attuali e precedenti despoti. L’autonomia si raggiunge anche con il rischio e la scommessa, con il coraggio e le strategie a lungo termine, come quella che è necessario fare sull’innovazione perché – come sottolineano dall’Enea – “in Italia la ricerca viene considerata avulsa dallo sviluppo industriale”. E invece avremmo tante possibilità. Solo che, come nel caso dello shale gas, non ci crediamo nemmeno. (twitter: @ecisnetto) (Public Policy) ECN