ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – Ma l’articolo 18 è defunto o solo svenuto? La domanda se la pone, e la gira a tutti noi che abbiamo salutato il Jobs act come il superamento anche di quel vecchio tabù, Michele Tiraboschi, giuslavorista tra i più esperti e di solito privo di inutili approcci ideologici.
Lo spunto lo offre un accordo aziendale tra la Novartis e il sindacato siglato nei giorni scorsi, all’apparenza riguardante soltanto quell’istituto regolato dall’articolo 1406 del Codice civile che va sotto il nome di “cessione del contratto” e che si usa in caso di nuovi assetti organizzativi di società appartenenti ad uno stesso gruppo (nello specifico Novartis e Alcon Italia), ma che in realtà si spinge oltre.
Infatti, essendo che le nuove regole introdotte con il cosiddetto “contratto a tutele crescenti” si applicano solo per i contratti di lavoro stipulati dopo il 7 marzo 2015, e avendo l’istituto della cessione di contratto di lavoro la finalità di far proseguire il rapporto tra lavoratori e aziende senza alcuna soluzione di continuità, ecco che oltre alla conservazione dei trattamenti retributivi e della anzianità di servizio maturata scatta anche il mantenimento dell’articolo 18, perché – appunto – preesistente.
Naturalmente, la Novartis – ma anche il sindacato, in verità – ha negato che ci sia stata l’esplicita volontà di andare contro la riforma renziana. Ed è vero che al di fuori dei gruppi di impresa che al loro interno si possono passare i lavoratori in continuità, è difficile immaginare che ci possa essere un uso generalizzato di questo strumento. Tuttavia, il fatto che con il Jobs act si sia scelta la strada non dell’abrogazione tout court dell’articolo 18 bensì del suo graduale superamento, lascia spazio a queste eccezioni, che inevitabilmente creano discriminazioni.
E non a caso le parti, nella trattativa Novartis, potendo scegliere, hanno optato per il mantenimento del regime ante 7 marzo. Ma soprattutto, gli esperti che hanno esaminato la situazione, Tiraboschi in testa, sostengono che di scappatoie come questa ce ne possono essere diverse altre.
Per esempio, dice Tiraboschi, “nulla esclude il rinvio delle parti (individuali e collettive) all’articolo 18 anche per i contratti stipulati dopo il 7 marzo quale condizione di miglior favore per il lavoratore, e talvolta persino del datore di lavoro”. E questo proprio perché non si è voluto andare fino in fondo e, di fatto, si è conservato in vita l’articolo 18. Moribondo ma pur sempre in vita.(Public Policy)
@ecisnetto