MARÒ, STORIA DI UNA GUERRA DIPLOMATICA /FOCUS

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Rientro in Italia dei marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre

(Public Policy) – Roma, 22 mar – (di Sonia Ricci)
“Sono arrivate ieri per iscritto”, dal governo indiano, la
garanzie che non verrà applicata la pena di morte ai due
marò italiani, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone,
accusati di aver ucciso due marinai indiani. Lo ha detto a Radio 24
il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura, sottolineando come
questa assicurazione abbia rappresentato il punto di svolta.

Sarebbe dunque la “parola data” dal governo indiano sulla non applicazione
della pena capitale (nel caso di condanna) ad aver convinto
l’Italia a rimandare i due fucilieri in India.
Ma inizialmente, l’11 marzo scorso, il Governo italiano aveva motivato
la sua decisione in modo diverso: “New Delhi ha violato
gli obblighi di diritto internazionale” e non come riferisce
oggi il sottosegretario: “Abbiamo ottenuto le garanzie richieste all’India sulla pena”.

A determinare, infatti, l’improvviso cambio di registro di Roma,
che fino ad ora aveva puntato su una soluzione diplomatica
che tardava ad arrivare, sarebbe stato il silenzio di Delhi
alla proposta italiana di aprire un dialogo a due,
puntando su una più forte cooperazione nella lotta alla pirateria,
come aveva suggerito la stessa Corte Suprema indiana.
Una soluzione diplomatica, appunto, che l’India sembra non aver
preso in considerazione.

In linea con le motivazioni di De Mistura anche il ministro
degli Esteri Giulio Terzi, che in un’intervista a Repubblica
ribadisce: “Non rischiano più la pena di morte”. E aggiunge:
“L’accordo con l’India prevede che il caso in questione, per
le sue modalità, non rientri tra quelli in cui possa
comminarsi la pena massima prevista dal loro codice”.

Quindi il rientro dei marò in India sarebbe stato,
secondo il Governo italiano, un “aggiustameto” del diritto indiano
(che per l’omicidio prevede la pena di morte).
Dall’altra parte del mondo sembra arrivare una implicita smentita
del ministro degli Esteri indiano Salman Kurshid, che alle tv locali ha
detto: “La legge rimane com’è: non cambia nulla”. Ma ha
anche assicurato che la pena massima “non verrà applicata”.

La vicenda è nota: un anno fa due militari italiani del
Reggimento San Marco (forza di protezione anfibia delle
Forze armate Italiane), imbarcati in servizio di protezione
anti-pirateria sul mercantile battente bandiera italiana
Enrica Lexie, furono fermati e arrestati con l’accusa di
omicidio di due marinai del peschereccio indiano St.
Anthony.

La decisione di fare
rientrare in India Latorre e Girone segna un ulteriore
passaggio nella complicata vicenda dei due fucilieri. La
decisione odierna del governo arriva a dieci giorni da una
decisione di segno contrario, quando l’esecutivo decise che
i marò, in permesso elettorale in Italia per quattro
settimane, non avrebbero fatto rientro in India alla
scadenza del permesso concesso loro il mese scorso dalla
Corte Suprema di Nuova Delhi.
Ripercorriamo le tappe fondamentali.

I FATTI
Il 15 febbraio 2012 due pescatori indiani, Valentine
Jalstine e Ajesh Binki, vengono uccisi da colpi di arma da
fuoco a bordo della loro barca al largo delle coste del
Kerala. Della loro morte vengono accusati i due marò, che
però sostengono di aver sparato in aria come avvertimento.
Inoltre il fatto sarebbe avvenuto in acque internazionali.

Il 25 maggio 2012, dopo aver passato quasi tre mesi nel
carcere indiano di Trivandrum, capitale dello Stato federale
del Kerala, i due fucilieri della Marina vengono trasferiti
in una struttura a Kochi e viene loro concessa la libertà su
cauzione, con il divieto di lasciare la città.

Oltre al ministro degli Esteri, Giulio Terzi, a seguire la
vicenda è stato il Comitato per la sicurezza (Cisr),
presieduto dal presidente del Consiglio Mario Monti. In
Parlamento si corre ai riparti e si cerca di assicurare un
“paracadute” ai due marò, che arriva il 25 ottobre quando
l’Aula del Senato approva in via definitiva la conversione
in legge dell’accordo con l’India sul trasferimento delle
persone condannate.

La legge in questione, già licenziata dalla Camera il 17
ottobre, permette a “una persona condannata nel territorio
di uno Stato contraente – si legge all’articolo 3 – di
essere trasferita nel territorio dell’altro, al fine di
scontare la pena che gli è stata inflitta”. Pochi giorni
prima il ministro Terzi aveva ricordato le ragioni della
richiesta italiana sul rimpatrio dei fucilieri:
“L’ingresso della nave Enrica Lexie in acque indiane è
stato il risultato di un sotterfugio della polizia locale,
che ha richiesto al comandante della nave di dirigersi nel
porto di Kochi per contribuire al riconoscimento di alcuni
sospetti pirati. La ‘consegna’ dei marò è poi avvenuta solo
a seguito di un’azione di forza della polizia indiana che
era salita a bordo della Enrica Lexie”.

La contestazione italiana,
infatti, muove dal riconoscimento che i fatti del febbraio
2012 avvennero in acque internazionali e che la
giurisdizione sul caso non spetta alla corte locale.
Il 20 dicembre 2012 viene accolta la richiesta dei marò
di un permesso speciale per trascorrere in famiglia le
festività natalizie in Italia, con l’obbligo di tornare in
India entro il 10 gennaio. Il 22 dicembre atterrano a Roma,
per ripartire alla volta di Kochi il 3 gennaio. La licenza è
stata concessa con una garanzia finanziaria di 60 milioni di
rupie (828 mila euro).

Il 18 gennaio 2013 la Corte Suprema indiana, guidata dal
presidente Altamas Kabir, stabilisce che il governo del
Kerala non ha giurisdizione sul caso e dispone che il
processo venga affidato a un tribunale speciale da
costituire a New Delhi.

Il 22 febbraio 2013 la Corte Suprema indiana concede ai
due fucilieri di tornare in Italia per quattro settimane per
votare. E l’11 marzo la Farnesina rende nota la decisione si
non far rientrare La Torre e Girone in India. La decisione è
stata assunta d’intesa con i ministeri della Difesa e della
Giustizia e in coordinamento con la presidenza del
Consiglio, con le seguenti motivazioni: “L’Italia – ha detto
il titolare della Farnesina – ha sempre ritenuto che la
condotta delle autorità indiane violasse gli obblighi di
diritto internazionale gravanti sull’India”, in particolare
“il principio dell’immunità dalla giurisdizione degli organi
dello Stato straniero”.

La decisione è accolta con favore soprattutto dal
centrodestra italiano. “Volevamo candidare i marò alle
elezioni, ma sconsigliati da altissime sfere abbiamo
desistito per evitare strumentalizzazioni”. Così Ignazio La
Russa, cofondatore di Fratelli d’Italia.

Dopo l’annuncio del ministro Terzi di non far rientrare i due marò,
a New Delhi scoppia il caos e gli indiani per tutta risposta decidono
di trattenere l’ambasciatore italiano, Daniele Mancini, con il divieto di far
ritorno nel nostro Paese.

Poi il passo indietro: I due marò tornano in India. Su
Twitter l’hashtag #ItalianMarines entra subito nella top ten
trend topic del social media. E le prime dichiarazioni
freddano la scelta della Farnesina: “La più grande
umiliazione diplomatica dalla nascita dello Stato italiano.

Propongo di spedire Monti e Terzi in India al posto dei
marò”. Così Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia.
Martedì pomeriggio il Governo riferirà alla Camera sul
caso, secondo quanto hanno deciso i capogruppo di
Montecitorio, riuniti oggi alla Camera.(Public Policy)

SOR