di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – La querelle sugli equilibri del centrodestra (la questione della leadership sembrerebbe risolta, quella delle candidature ancora no) e le dispute sugli inclusi ed esclusi nel perimetro del campo progressista (di cui giornalmente si ipotizzano le più svariate combinazioni) potrebbero d’incantesimo svanire, se Letta e Meloni accettassero l’invito di Giuliano Ferrara, che su Il Foglio li esorta a sparigliare e a competere per i seggi assegnati con metodo maggioritario fuori da qualunque logica di coalizione. In sintesi: “Meloni e Letta da soli all’uninominale e chissenefrega delle alleanze”.
La possibilità che quello che Ferrara definisce un “sogno elettorale” si avveri non sono molte, ma al momento non sono neppure nulle, visto che i problemi a cui questa soluzione porrebbe rimedio sembrano destinati a incancrenirsi e a trascinarsi fin verso la data di presentazione dei contrassegni e delle dichiarazioni di collegamento tra le liste (14 agosto) e delle candidature (22 agosto). Inoltre, per quanto fantasiosa possa apparire, questa proposta avrebbe il merito indubbio di normalizzare e di chiarire una dinamica politica, che gli incentivi normativi perversi della legge elettorale rendono anomala e opaca.
Facciamo un passo indietro, per capire che cosa sono, dal punto di vista normativo, le coalizioni: sono collegamenti tra liste concorrenti. Sono un modo in cui partiti, che pure si presentano gli uni contro gli altri, fanno corpo comune per massimizzare i vantaggi o minimizzare i danni del dispositivo maggioritario della legge elettorale. L’istituto della coalizione pre-elettorale, che non rileva solo in termini politici, ma anche giuridici, perché “guida” il meccanismo di ripartizione dei seggi, è praticamente un unicum italiano ed è una costante di tutti i sistemi elettorali sperimentati dal 1993 in poi, sia sul piano nazionale che su quello locale.
Per Comuni e Regioni si vota con un sistema di elezione diretta di sindaci e governatori, che premia con una maggioranza predeterminata di seggi la coalizione di liste collegata al candidato eletto. Nel Mattarellum si votava con un sistema che prevedeva l’assegnazione dei tre quarti dei seggi in collegi uninominali con metodo maggioritario e di un quarto su base proporzionale tra liste collegate tra di loro e ulteriormente collegate ai rispettivi candidati uninominali. Questo collegamento rendeva possibile il meccanismo del cosiddetto scorporo, che attenuava l’effetto maggioritario del sistema detraendo una quota dei voti conseguiti per eleggere i candidati uninominali dai voti di partito che concorrevano al riparto proporzionale.
Il cosiddetto Porcellum era invece un sistema a base proporzionale, ma prevedeva come premio la garanzia della maggioranza assoluta dei seggi per la coalizione, la cui somma dei voti di lista avesse raggiunto la maggioranza relativa. Infine il Rosatellum, attualmente in vigore, ha ristabilito una suddivisione tra quota maggioritaria e proporzionale, ma non prevedendo un doppio voto, fa coincidere i voti ottenuti da ciascun candidato in un collegio uninominale con il risultato della lista o delle liste a cui questo è collegato.
Insomma, le coalizioni sono state una forma di ibridazione permanente tra proporzionale e maggioritario, che sono in teoria sistemi alternativi e non componibili; ibridazione che ha portato alla progressiva spoliticizzazione del senso dell’alleanza politica tra partiti, trasformandola in una barriera numerica e in un escamotage surrettizio. Lo dimostra il fatto che in questi giorni vediamo, soprattutto a sinistra, teorizzare le “alleanze tecniche”, non fondate dalla condivisione di un programma o di un impegno di governo, ma di una rendita elettorale. Da questo punto di vista il suggerimento di Ferrara di neutralizzare gli incentivi perversi della legge elettorale sarebbe davvero un segno di salute e di normalità per un sistema politico, in cui le coalizioni finte sono sempre più le trappole e le tombe dei partiti veri: sia quelli reali, come il Pd, che quelli potenziali, come il tante volte evocato soggetto liberaldemocratico, che avrebbe un senso politico autonomo e oggi anche un buon pacchetto di consensi, pur divisi tra diversi soggetti, ma che una logica coalizionale coatta relega, con tutte le sue divisioni, a un ruolo ancillare del Pd.
Le coalizioni pre-elettorali sono tutt’altra cosa dalle coalizioni che si formano dopo il voto, e che sono caratteristiche di molte democrazie occidentali, anche quelle di impianto maggioritario. In questo caso il negoziato sulle priorità e sulle posizioni di governo è fatto da partiti già “pesati” dal voto democratico e riflette più o meno oggettivamente i relativi rapporti di forza. Quelle post-elettorali sono coalizioni che nascono, in positivo e in Parlamento, dall’esigenza di governare sulla base di un programma comune, non che si formano, in negativo e fuori dal Parlamento, con l’obiettivo di impedire che vinca qualcun altro e che, sempre più frequentemente (come nelle ultime due legislature in Italia), si dissolvono un minuto dopo il voto. Ovviamente quanto propone il fondatore de Il Foglio è più semplice a dirsi che a farsi e Ferrara nel suo sogno non sembra troppo considerare il legame fatale che nel Rosatellum intercorre tra voto maggioritario e proporzionale. La scelta di smontare le coalizioni non darebbe luogo a una doppia e parallela competizione, dove nella parte maggioritaria se la vedrebbero quasi ovunque Pd e FdI e nella parte proporzionale la gara sarebbe davvero aperta a tutte le liste.
Come detto, non ci sono due voti, ma uno solo. La più o meno forte polarizzazione del voto sull’uninominale determina lo spazio che le forze politiche perdono o guadagnano sul proporzionale. Il Pd e FdI possono sbancare, ma anche schiantarsi. Se, come avveniva con il Mattarellum, voto maggioritario e proporzionale fossero indipendenti e disgiungibili (ad esempio: voto al candidato del Pd nell’uninominale, ma alla lista di Azione sul proporzionale) gli esiti sarebbero più prevedibili e comunque più favorevoli per chi fosse disposto a fare questa scommessa. In ogni caso, di fronte a sistemi elettorali che anziché incentivare la competizione e la partecipazione politica sembrano perdersi sempre più irrimediabilmente in alchimie numeriche e normative per neutralizzare il rischio della sconfitta e perfino della vittoria, quella di Ferrara è una proposta temeraria, ma decisamente razionale. (Public Policy)
@carmelopalma